Dal “I benefici”, libro III, 28 ed. Zanichelli di Lucio Anneo Seneca

a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo

Dopo tanti esempi come può sussistere il dubbio che il padrone può essere beneficato dallo schiavo? Per quale ragione la condizione sociale dovrebbe togliere valore ad un gesto, anziché essere il gesto a dare il valore alla condizione di chi lo compie? Tutti deriviamo da uno stesso principio ed abbiamo una medesima origine; nessuno è più nobile di un altro, se non colui che ha un’indole più retta e più adatta al bene. Coloro che nell’atrio mettono in mostra ritratti ed espongono nell’ingresso i nomi dei loro antenati in lungo ordine e connessi tra di loro dalle tante ramificazioni dell’albero genealogico sono più noti ma non più nobili degli altri. Il cielo è il comune padre di tutti: ad esso per strade nobili o umili riconduce la prima origine di ciascuno. Perché farti ingannare da coloro che mentre ti sciorinano l’elenco dei loro antenati, ogni qualvolta manca loro un nome illustre, ci ficcano dentro un dio? Non disprezzare alcun essere umano, anche se attorno a lui ha nomi oscuri che dalla fortuna poco benevola non hanno ricevuto alcun aiuto. Si contino pure tra i vostri antenati liberti o schiavi o stranieri, innalzate con fierezza la vostra mente e passate sopra a tutto ciò che di umile c’è nel mezzo: una grande nobiltà vi deriva dall’origine. Perché, trascinati dalla vanagloria, arriviamo a tanta iattanza da considerare vergognoso il ricevere benefici dagli schiavi e da tener conto solo della loro condizione sociale, dimenticando le loro benemerenze? Sei tu a chiamare schiavi gli altri? Proprio tu che sei schiavo della libidine e della gola e della tua amante?…