Dal volume “Un’altra Calabria”
a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo
Essendo nato povero, ho sempre portato con me il misero vestito del bisogno. Ricordo che a Pisa, giovane studente universitario, consumavo alla mensa dell’ONARMO un solo pasto a mezzogiorno consistente in una minestra ed un panino, mentre la sera mi accontentavo di un etto di castagnaccio.
Ancora oggi, che godo di un certo benessere, non so spendere più del necessario perché non ho dimenticato il bisogno o meglio u bisognu, come direbbe un vero calabrese! Ho compreso il valore di questa parola dopo i trent’anni quando, avendo acquisito una certa esperienza di vita, mi sono accorto che, se pronunziato in dialetto calabrese, il termine acquista solennità. Era una domenica d’aprile del 1975. A quel tempo prestavo servizio presso il Comando generale della Guardia di finanza, all’Ufficio operazioni.
Svolgevo un lavoro pesante che mi impegnava dalla mattina fino a tarda sera. Talvolta lasciavo l’ufficio per tornare a casa anche dopo la mezzanotte. Ero ancora giovane ed aspettavo il giorno di festa per restare a letto un paio d’ore più del solito, in modo da recuperare, almeno parzialmente, il sonno perduto nel corso della settimana. Quella domenica, dunque, dormivo profondamente, quando inaspettatamente udii la suoneria del citofono ronzare dall’anticamera. Ero solo: sarei dovuto andare di persona a rispondere, ma la stanchezza era grande e d’altra parte non ricordavo di avere assunto l’impegno di vedere nessuno quel giorno. Mi girai dall’altra parte e, benché la suoneria avesse insistito nel tentativo di destarmi, ripresi sonno. Verso le sette aprii gli occhi accorgendomi ben presto che l’ignoto visitatore non aveva ancora desistito dalla sua azione. Mi affacciai alla finestra: pioveva a dirotto. All’ingresso della palazzina popolare sita nel quartiere di San Basilio scorsi due figure quasi immobili. Un uomo anziano copriva col suo mantello un giovane, offrendogli scudo dalla pioggia battente. Quando mi avvidi che erano costoro gli indesiderati visitatori della domenica mattina fui colto da un irreprimibile moto di stizza. Aprii la finestra e gridai al loro indirizzo: “Vi sembra questa l’ora di venire a disturbare la domenica mattina?” E’ l’uomo anziano, senza scomporsi, con tono educato e ad un tempo pieno di dignità, replicò: “E’ u bisognu”. Come era già accaduto in passato e sarebbe ancora accaduto in futuro per moltissimi altri calabresi, egli veniva da me con una lettera di presentazione, domandandomi cosa di dovesse fare per arruolare nel Corpo della Guardia di finanza il figliolo disoccupato: ne aveva bisogno!
Ed è dal bisogno per la sopravvivenza che trova linfa la lotta quotidiana, silenziosa e minuta, l’intima rassegnazione alla dura fatica, la desolata ed immensa tenacia, la formidabile, inesauribile forza che sa dispiegare il calabrese nella difesa della vita.