a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo

Nell’Antica Roma l’esercizio dell’avvocatura è una funzione civile, a cui ci si dedica gratuitamente, mirando sì al vantaggio che ne viene in considerazione, in autorità e in prestigio nella vita politica, ma non per denaro. Una legge del 204 a.C., la lex Cincia, faceva esplicito di accettare denaro per aver difeso una causa; solo in età meno antica quel divieto non fu rigorosamente osservato.

Si deve poi tener conto di un’altra differenza: oggi l’avvocato che ha la fiducia del cliente, lo consiglia sulla causa da intraprendere e se ne assume la difesa.

Nel mondo romano, invece, chi studia l’aspetto giuridico della controversia e indica quale sia il miglior modo d’impostare una causa è generalmente una persona diversa da quella che assiste la parte nel processo: l’uno è il iuris consultus, il giureconsulto che dà pareri, l’altro è l’orator, quello che propriamente è l’avvocato che interviene nel giudizio accanto al cliente e “tratta” la causa; l’uno è l’uomo della scienza, l’altro è il compagno della battaglia.

Non è detto, però, che l’opera del giureconsulto non fosse, come quella dell’orator, impegnativa e laboriosa. La mattina, sino dalle prime ore, un pubblico di clienti si affolla nell’atrio del suo palazzo per la salutatio matutina; e non ci va solo per dirgli “have!”, ma per chiedergli un parere. Il giurista riceve i clienti, dà consigli, non chiede nulla. Le consultazioni non avvengono a quattr’occhi, come oggi in uno studio legale, ma in presenza di una folla di clienti, e anche di giovani della nobiltà, futuri giuristi, futuri uomini politici che ascoltano per imparare; e sono quelli che torneranno, in sedute più raccolte e ristrette, a chiedere chiarimenti e lumi. A differenza del giureconsulto, l’orator assisteva invece il cliente durante il processo.

L’avvocatura, in tutta l’età della Repubblica, è una attività che non può esser separata dal complesso di attività dell’uomo politico romano; tutti i maggiori uomini, fatta eccezione per Mario, che giunse alla preminenza politica in virtù di eccezionali qualità militari, furono uomini esperti di vita forense. Il cittadino, nei comizi, dà volentieri il voto a chi lo ha consigliato nel dubbio di intraprendere un processo, o sulla consistenza dei suoi diritti come a chi lo ha difeso in veste di avvocato.

N. 12538 Sez. V
Imp. Reg. Intendenza Provinciale
Delle Finanze


Avviso di concorso

Dovendosi procedere all’arruolamento d’individui per la Guardia di Finanza, tanto delle Provincie Venete, che delle Lombarde, in seguito ad ossequiato Decreto 13 Dicembre prossimo passato N. 23470 – 1376 dell’I. R. Prefettura delle Finanze in Venezia, si deduce a pubblica notizia:

I.° Che viene aperto il detto arruolamento, presso la Commissione relativa residente nel locale d’Ufficio dell’I. R. Comando della Sezione XII, della Guardia di Finanza, in questa Città in Parrocchia di San Stefano, per cui quelli che intendessero aspirarvi, dovranno al detto Ufficio insinuare le loro domande.

II.° Che per essere ammesso, occorre che in favore dell’aspirante vi concorrano tutti i requisiti prescritti dal S 5.° del vigente Regolamento Organico, e di servigio della Guardia di Finanza, cioè:

a) Il possesso della cittadinanza Austriaca

b) Una costituzione fisica, robusta, e perfettamente sana

c) Lo stato celibe, e trattandosi di un vedovo di non avere prole

d) L’età di 18 anni compiuti, né superiore di trenta. Coloro che dal servigio attivo dell’I. R. Armata passassero immediatamente al servigio della Guardia di Finanza, o prima che trascorra un’anno dall’ottenuto congedo, godranno del vantaggio di esservi ammessi fino all’età di trentacinque anni compiuti.

e) L’aspirante deve saper leggere, e scrivere, conoscere i principii dell’aritmetica, e la lingua italiana

f) Deve giustificare di aver tenuta in precedenza una condotta scevra di eccezioni.

Belluno lì 31 Gennaio 1854.
L’I. R. Intendente Dott. Suini
L’I. R. Segretario Rosa