a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo
Quest’anno una legge da sempre considerata un vero pilastro per l’attività della Guardia di Finanza festeggia gli ottantanni: si tratta della legge 7 gennaio 1929, n. 4 intitolata “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie” ed emanata per colmare all’epoca una grave lacuna da lungo tempo lamentata nella nostra legislazione penale tributaria.
Infatti questa legge ha avuto soprattutto il merito di aver dato ordine al sistema degli illeciti fiscali e relative sanzioni, destinato ad operare con sempre maggiore efficacia, tanto che ben a ragione è stata definita la “Magna Charta” del diritto penale tributario.
Entrata in vigore il 1° luglio 1931, dopo una lunga ma opportuna “Vacatio legis” onde corrispondere con quella dei nuovi codici penali e di procedura penale, essa nella sua stesura originaria era composta di 63 articoli suddivisi in tre titoli: il primo (artt. 1-20) contenente le disposizioni di diritto sostantivo riguardanti l’efficacia della legge nel tempo, la distinzione tra reati e illeciti non penali, responsabilità particolari e cause di estinzione degli illeciti tributari); il secondo (artt. 21- 59) contenente “norme di procedura” prima fra tutte quelle concernenti la polizia tributaria; il terzo (artt. 59- 63) contenente disposizioni finali e transitorie.
Come è stato rilevato a sua tempo, alla legge n. 4/1929, informata ad uguali criteri di certezza delle norme penali ed ai mezzi richiesti per far valere le stesse nei casi di inosservanza, è stata riconosciuta la stessa efficacia spettante alle norme del libro primo del codice penale relativamente alle singole ipotesi di illeciti contenute in detto codice e in altre leggi speciali.
Si può dire, perciò, che questa legge n. 4/1929 si è rivelata nella sua lunga e piena applicazione mezzo e strumento di interpretazione di norme particolari, punto di orientamento anche nella formazione delle altre leggi costrette ad adeguarvisi pure per la nomenclatura delle violazioni e delle relative sanzioni e per la identificazione della natura delle stesse.
Infatti nella Relazione del Ministro delle Finanze dell’epoca sul relativo disegno di legge (approvato alla Camera dei Deputati il 7 dicembre 1928 ed al Senato due settimane dopo), il provvedimento in parola, nel dettare norme fondamentali per i singoli organi dell’Amministrazione finanziaria e della Guardia di Finanza, onde consentire loro di uniformare la propria azione nell’accertamento delle violazioni e nella individuazione dei trasgressori, pone in grado gli stessi organi ed il giudice, chiamato a giudicare, di distinguere con certezza la sussistenza di una violazione costituente reato da quella costituente semplice obbligazione a carattere espressamente non penale.
E invero, per i suoi indubbi contenuti innovativi e per l’eccezionalità della sua portata, la legge del 1929 subito, al suo apparire e specialmente nei primi tre decenni di vita e ancora negli anni successivi fino a quelli più recenti, ha formato oggetto di accurati e approfonditi commenti ad opera di molti illustri studiosi, anche appartenenti alla Guardia di Finanza. Basti citare tra i primi Anelli, Pietroboni, De Matteis, Galiano, Spinelli, Lampis, Sechi e Dus.
Purtroppo la nostra legge ha subito nel tempo varie mutilazioni a seguito di opportuni interventi della Corte Costituzionale e di vari provvedimenti legislativi necessitati da mutamenti giurido-socio-economici, come tali necessariamente innovativi, ed ancor di più per effetto del decreto legislativo 18.12.1997, n. 472 (che all’art. 29 ha abrogato gli articoli da 1 a 8, 11, 12, 15, da 17 a 19, da 26 a 29 e da 55 a 63) e del decreto legislativo 30.12.1999, b. 507 (che all’art. 24 ha abrogato il cd. principio dell’“ultrattività” della legge penale tributaria fissato dall’art. 20).
Perciò, attualmente, della vecchia legge che tanti finanzieri ha tenuto impegnati, sia negli istituti di istruzione che nelle sedi di servizio, talvolta anche con sofferta esemplare dedizione e comunque sempre con vivido amorevole attaccamento, sopravvivono solo 24 articoli e precisamente: gli articoli 9, 10, 13, 14 e 16 del titoli I, riguardanti le contravvenzioni finanziarie, gli articoli 21 (pur se necessariamente modificato per essere adottato alle nuove norme del codice di procedura penale), 22, 24 (che mantiene sempre vivo l’obbligo di verbalizzazione delle violazioni constatate) e 25 (sul sequestro della documentazione), nonché tutte le disposizioni del capo II (articoli da 30 a 35) sulla polizia tributaria e quelle del capo IV (artt. 46 a 54) sulla procedura per oblazione, peraltro ora di scarsa applicazione.
Nonostante i molti tagli subiti, questa legge del 1929 rimane, pur sempre, un importante punto di riferimento per gli uomini in fiamma gialla; non solo perché per effetto dell’art. 24 vale ancora il fondamentale principio per cui “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”, ma soprattutto perché in virtù delle disposizioni, tuttora in vigore, contenute negli articoli da 30 a 35, gli appartenenti alla Guardia di Finanza, oltre alla qualifica di polizia giudiziaria, assumono la veste di polizia tributaria, come tale chiamata a reprimere tutte le violazioni fiscali, avvalendosi anche degli strumenti giuridici riservati dal codice di procedura penale alla polizia giudiziaria.
E a questo proposito non va dimenticato che, grazie alla legge del 1929, sono tuttora deputati a svolgere l’attività di polizia tributaria soltanto i militari della Guardia di Finanza con una competenza “esclusiva” nei confronti di qualsiasi altra forza di polizia, e “generale”, ossia per tutti i tributi e senza limiti settoriali, rispetto a quella pure deferita a funzionari ed agenti dell’Amministrazione finanziaria ma limitata al loro specifico servizio.