a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo
A proposito della esposizione delle nostre leggi si riporta qui di seguito quanto scrive BICE MORTARA GARAVELLI, docente di grammatica italiana presso l’Università di Torino, nel suo pregevole libro “Le parole e la giustizia”, ed. Einaudi 2001, a pag. 99.
Forse non era il caso di pasticciare un titolo famoso (il riferimento è all’opera di Guy de Maupassant, “L’inutile beauté”) per tacciare di “inutile” la defatigante sgradevolezza delle contorsioni sintattiche in non pochi esemplari di testi giuridici normativi.
L’aspirazione alla semplicità lineare del dettato, alla precisione e alla correttezza linguistica non è una trovata recente. Senza risalire troppo indietro nel tempo, basterebbe ricordare la dichiarazione di Ugo Foscolo, di voler scrivere il Codice penale militare (che avrebbe dovuto redigere per incarico del ministero della Guerra della Repubblica Cisalpina) «in uno stile rapido, calzante, conciso, che non lasci pretesto all’interpretazione delle parole, osservando che assai giureconsulti grandi anni e assai tomi spesero per commentare leggi confusamente scritte. Si baderà ancora a una religiosa esattezza della lingua italiana». Intenti così espliciti, e indubbiamente condivisibili, avrebbero dovuto funzionare come un’esortazione per i contemporanei e i futuri estensori di leggi. Ma l’esortazione era destinata a trovare posto fra le prediche inutili, fra gli inviti non accolti.
Questo passò fu citato dall’on. Calamandrei, in apertura di un suo intervento durante i lavori preparatori della Costituzione del 1947, come è attestato in: Assemblea Costituente, Atti. III. Discussioni, Camera dei Deputati, Roma 1947, p. 1743.