CONVEGNO
COMMISSIONI TRIBUTARIE:
Legittimità costituzionale
Centralità nel contenzioso ed esperienze europee
Presenza territoriale e funzionalità
“Il ruolo della Commissione Centrale”
di Domenico Caputo
Roma, 20 marzo 1998 CNEL Aula della Biblioteca
1. Premessa
All’indomani dell’approvazione del nuovo rito del contenzioso tributario, nelle ben note forme recate dal D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, fu pressoché unanime il consenso degli “addetti ai lavori” alla scelta operata dal legislatore di eliminare il terzo grado di giudizio costituito dalla Commissione Tributaria Centrale, soprattutto una volta analizzata detta scelta nella logica dello snellimento ed accelerazione del processo tributario.
Le rare voci di dissenso che in varie occasioni allora si levarono, incentravano la loro critica essenzialmente su due motivi: il primo rappresentato dalla circostanza che con la soppressione della Commissione Centrale veniva meno una sede qualificata dove si operava, sia pure con ritardo, un certo grado di consolidamento della giurisprudenza e l’altro dalla constatazione, peraltro facile da individuare, che, in assenza del “filtro” operato dalla Commissione Centrale stessa, si sarebbe fatto più alto il rischio di un congestionamento di controversie fiscali davanti alla Corte di Cassazione quale giudice “terminale” del processo tributario di nuovo modello.
In effetti, il contenzioso varato con la precedente riforma del 1972, conteneva una sorta di evidente anomalia e cioè era articolato in quattro gradi di giudizio, in un numero di gradi, ossia, che risultava maggiore rispetto a qualsiasi altra giurisdizione esistente in Italia; e questo rappresentava – a detta di molti – il colmo dell’incoerenza per un processo che tutti, almeno a parole, avrebbero voluto il più possibile, appunto, semplice e rapido.
Con le direttive dell’art. 30 della Legge-delega 30 dicembre 1991, n. 413, il legislatore, preso atto di questa singolarità, ha conseguentemente e razionalmente deciso per il “taglio” di un grado di giudizio.
Ma dove operare il taglio: nella fase iniziale del processo o piuttosto in quella finale?
Sappiamo quale tesi ha prevalso, tra il consenso, si ripete, quasi generale, ma ora, a distanza di qualche tempo dall’entrata in vigore della nuova disciplina, può essere interessante e magari foriero di qualche utile osservazione, ritornare sulla problematica relativa alla soppressione della Commissione Tributaria Centrale, specialmente tenuto conto che quello che forse “pragmaticamente” era stato ritenuto il termine ultimo di funzionamento della stessa si è progressivamente dilatato (dall’iniziale termine del 31 dicembre 1995, previsto dall’art. 42, 3° c. del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, si è passati al termine del 31 dicembre 1998, sancito dall’art. 69, comma 2, D. L. 30 agosto 1993, n. 331, conv. In Legge 29 ottobre 1993, n. 427, fino a pervenire addirittura ad una sorta di “sine die” o termine aperto recato questo dall’art. 19 del d.d.l. n. 2524/B, definitivamente approvato dal Senato il 12 marzo scorso),[1] per cui fondatamente a questo punto si può tentare di ragionare e di interrogarci su quello che è stato e può essere ancora il ruolo della Commissione Tributaria Centrale.
[1] Si riporta il testo dell’art. 19, rubricato come “Termine per la soppressione della Commissione Tributaria Centrale” : “All’articolo 42, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, e successive modificazioni, concernente l’insediamento delle commissioni tributarie, le parole: “con l’esaurimento dei ricorsi pendenti e, comunque, entro e non oltre il 31 dicembre 1998” sono sostituite dalle seguenti: “, tenuto conto dei ricorsi pendenti, entro la data stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero delle Finanze”.”
2. La Commissione Centrale come “giudice stralcio”
L’art. 75 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, stabilisce che le controversie tributarie, pendenti alla data del 1° aprile 1996, di insediamento delle nuove Commissioni provinciali e regionali, o per le quali alla stessa data pendeva il termine per ricorrere alla Commissione Centrale, proseguono secondo le norme del previgente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.
Le relative decisioni della Commissione Centrale possono essere poi gravate di ricorso presso la Corte di Cassazione, per motivi di legittimità, sempre secondo le norme del D.P.R. n. 636/72.
Lo stesso art. 75 imponeva, tra l’altro, l’onere alle parti che avevano una “controversia pendente” davanti alla Commissione Tributaria Centrale, di proporre apposita istanza di trattazione alla Segreteria della medesima Commissione Centrale entro il 28 febbraio 1994, contenente gli estremi della controversia e del procedimento e sottoscritta dalla parte o dal suo precedente difensore.
In difetto di tale adempimento, il giudizio davanti alla Commissione Tributaria Centrale deve dichiararsi “estinto” [2] .
[2] Detta norma, che sembra ricalcare il modello già fortemente criticato presente nell’art. 44 del D.P.R. n. 636/72, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale da parte della stessa Commissione Tributaria Centrale. La Corte Costituzionale, investita della questione, si è pronunciata sulla stessa con sentenza ancora non depositata.
Era, altresì, previsto che le parti, anziché presentare istanza di trattazione, potevano chiedere nello stesso termine, l’esame della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360 del cod. proc. civ., “convertendo”, in altri termini, il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale, in ricorso per Cassazione contro la decisione impugnata.
Detto adempimento valeva solo per le controversie pendenti o per i termini pendenti, mentre per le controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. N. 546/92, davanti alla Commissione Tributaria Centrale, si procedeva nei modi normali, e ciò fino all’insediamento delle nuove Commissioni, con il quale si è dato, in pratica, inizio al nuovo “iter” contenzioso.
Tale esposizione di dati testuali pare opportuna per enucleare due dati di fatto essenziali:
- la Commissione Tributaria Centrale continua ad esercitare la sua funzione anche dopo l’insediamento delle nuove Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, fino all’esaurimento dei ricorsi pendenti e dei conseguenti adempimenti di tipo operativo ed organizzativo;
- il termine finale di funzionamento, già prorogato, per evidenti esigenze di operatività dei procedimenti già incardinati, è diventato praticamente “aperto”, come detto, dal momento che risulta ovviamente condizionato dal numero dei ricorsi pendenti da esaminare.
All’attualità, a questo riguardo, secondo dati attendibili, diciamo subito che sono giacenti circa 458.000 ricorsi, ai quali dovranno essere aggiunti quelli tuttora giacenti – sicuramente diverse migliaia – presso le Segreterie delle ex – Commissioni Tributarie di 2° grado, di competenza della Commissione Tributaria Centrale, ma per più motivi – anche non immediatamente comprensibili – non ancora trasmessi alla Segreteria di quest’ultima, e per i quali continuano ad applicarsi le regole del contenzioso previgente.
Ebbene, considerato che mediamente le 25 sezioni giudicanti effettivamente operanti, sulle 27 previste, della Commissione Tributaria Centrale, annualmente depositano circa diecimila, tra ordinanze e decisioni (fino ad un “picco” di 15.662 per il trascorso anno 1997, pari a n. 6.482 decisioni ed a n. 9.140 ordinanze), viene in luce con una semplice operazione matematica il tempo ancora lunghissimo necessario, a questi ritmi, per esaurire l’intera mole di ricorsi giacenti, non senza segnalare, ancora, che avverso le decisioni della Commissione Centrale può essere esperito ricorso alla Corte di Cassazione, con ulteriore dilatazione dei tempi di funzionamento, perlomeno da parte della Segreteria della Commissione Tributaria Centrale, per le incombenze organizzative e procedurali (si pensi alla possibilità di usufruire del termine c. d. “lungo” per il ricorso alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 327 c.p.c.).
3. Indicazioni ed iniziative
D’altro canto enunciare un problema, esponendo le condizioni e le situazioni oggettive che lo rendono di difficile soluzione, non può essere appagante, qualunque sia il tipo di problema affrontato. E’ d’obbligo anche tentare di risolverlo, prospettando nel contempo le possibili indicazioni a questo fine tendenti.
Ecco, allora, che un dato immediato attira l’attenzione, scorrendo le statistiche dei ricorsi giacenti: ben circa il 75% degli stessi è costituito da ricorsi prodotti alla Commissione Tributaria Centrale da parte degli Uffici finanziari.
Questi ultimi, in effetti, non sempre hanno dato prova di esaminare con la dovuta oculatezza la possibilità di recedere dall’attivare un terzo grado di giudizio, laddove ossia potevano riscontrarsi ben precisi presupposti idonei e “vincenti” per chiudere “amministrativamente” il procedimento in corso, ed esattamente:
- Applicazione del ben noto principio dell’autotutela, o per meglio dire, “dell’autocorrezione”;
- Parvità sostanziale della materia del contendere, sotto il profilo economico, in assenza anche di implicazioni di principi di diritto tali da autogiustificare comunque l’intervento della Commissione Centrale;
- Attivazione del ricorso in Commissione Centrale per un non ben inteso “dovere d’ufficio”, dopo pronunce di 1° e 2° grado, esaustive in punto di diritto ed anche di fatto, sfavorevoli, in tutto o in parte, all’Amministrazione.
Da aggiungere, ancora, circostanza questa indubbiamente rilevante, che oltre il 40% delle vertenze giacenti (purtroppo non si hanno dati più precisi stante le difficoltà ad acquisirli in via informatica, trattandosi di controversie che possono affondare le loro origini ad oltre un decennio fa) possono essere dichiarate estinte per cessata materia del contendere, per i più svariati motivi, “in primis” per applicazione delle norme di condono che sopraggiungono a carattere ciclico.
Per emettere la relativa ordinanza di estinzione ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 636/72, è, peraltro, necessario che la sezione giudicante della Commissione Tributaria si avvalga della documentazione a questo fine prodotta alla Segreteria della Commissione da parte degli Uffici finanziari interessati.
In sostanza, intensificando l’impegno già attivamente profuso negli ultimi tempi dagli stessi Uffici, grazie anche agli ausili informatici in dotazione, che in molte occasioni assumono carattere addirittura indispensabile, un consistente “taglio” al carico delle pendenze può essere dato procedendo in via prioritaria all’emanazione delle ordinanze di estinzione del processo, una volta, ovviamente, documentata l’esistenza di tale possibilità nel relativo fascicolo contenzioso.
Addirittura, con opportuna modifica normativa, potrebbe essere attribuita la competenza a dichiarare l’estinzione del giudizio, come detto, mediante ordinanza, non solo al Presidente della Commissione od al Presidente della Sezione alla quale è stato assegnato il ricorso, ma anche conferendo detta facoltà ai singoli membri del Collegio su espressa delega del Presidente della Commissione, nonché del Presidente della Sezione ove il ricorso sia stato già assegnato ad una Sezione; come pure – seguendo un’impostazione che trova ormai accoglienza anche nel processo “corrente” in forza del decreto “omnibus” recentemente approvato – potrebbe essere consentito, sempre in forza di modifica normativa, al singolo membro della Commissione Centrale, su espressa delega del Presidente, di emettere decisione con proprio decreto senza ossia l’intervento del Collegio, su controversie ben individuate (ad esempio, per tributo, per importo in contestazione….e soprattutto se originatesi in epoca anteriore alla riforma tributaria degli anni 1972 – 73).
Altra sensibile accelerazione dei “tempi tecnici” necessari per l’esaurimento dei ricorsi pendenti, può scaturire dal completamento del “plenum” del Consesso procedendo alle nomine di tutti e 190 i giudici componenti previsti (e così suddivisi, un Presidente della Commissione Tributaria Centrale nel suo insieme, sei membri, più un Presidente per ognuna delle 27 sezioni) e, parimenti, aumentando sensibilmente l’organico del personale della Segreteria, attualmente assestato complessivamente sulle ottanta unità, a fronte di un organico di circa centoventi unità presente qualche anno addietro, con un numero di ricorsi da trattare sensibilmente minore dell’attuale.
In verità, bisogna dare atto che negli ultimi tempi diverse nomine di componenti della Commissione Tributaria Centrale sono state operate dal Consiglio dei Ministri; il momento pare, quindi, propizio per procedere ulteriormente su questa linea completando definitivamente il numero dei membri e valutando altresì la possibilità di estendere la durata dell’incarico (attualmente fissata al limite del compimento del settantacinquesimo anno di età), sia al fine di preservare l’enorme bagaglio di professionalità raggiunta dai giudici tributari e sia per evitare che le cessazioni dell’incarico impongano di continuo nuove immissioni.
4. Modalità procedurali e competenza
Il ricorso alla Commissione Tributaria Centrale avverso le decisioni della Commissione di secondo grado costituisce, o per meglio dire costituiva, un terzo grado di giurisdizione incentrato su motivi di violazione di legge e per questioni di fatto, escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie.
Detto ricorso si poneva in alternativa, come scelta discrezionale di colui che aveva interesse all’impugnazione, a quello della Corte di Appello, perché uguali erano i motivi di opposizione della decisione di secondo grado.
Secondo una giurisprudenza, ormai consolidata della stessa Corte di Cassazione, il giudizio che si svolge dinanzi alla Commissione Centrale non è “semplicemente” un giudizio di annullamento e di pura legittimità, bensì un giudizio di merito di terzo grado a cognizione piena. In sostanza le limitazioni previste dalla normativa, relativamente alla cosiddetta estimazione semplice ed alla misura delle pene pecuniarie, riguardano i motivi, cioè l’ambito della “cognitio”, ma non l’oggetto del giudizio, per cui la Commissione Centrale è, di massima, tenuta a deliberare nel merito la fondatezza della pretesa tributaria, intesa nel suo complesso, pervenuta al suo esame.
Tale caratteristica, come ben si comprende di assoluto rilievo, identifica una giurisdizione della Commissione Centrale senz’altro più estesa e completa rispetto alla stessa Corte di Cassazione, polo finale del giudizio tributario, nell’attuale processo tributario, che può essere interessata solo per motivi di legittimità.
In definitiva, le controversie, sotto l’aspetto tipicamente processuale, devolute alla Commissione Centrale, hanno una totale assimilabilità, salvo ovviamente la peculiarità della materia trattata, con i provvedimenti dinanzi all’autorità ordinaria, con applicazione di eguali garanzie di tutela sia per l’Amministrazione finanziaria che per il cittadino – contribuente.
La Commissione Centrale ha una funzione di indirizzo sulle problematiche controverse e di non facile interpretazione, ed è l’organo più qualificato, da una parte, per la emanazione dei principi di massima, da valere sia nell’ambito interno delle numerose sezioni che lo compongono, che soprattutto presso le Commissioni di I e II grado all’epoca funzionanti, e nello stesso tempo più rappresentativo, anche per la qualificata composizione dei suoi componenti, scelti tra i rappresentanti della Magistratura (ordinaria, contabile ed amministrativa), dell’Avvocatura Generale dello Stato, dei professori delle Università, dell’Amministrazione finanziaria (Direttori Generali o Ispettori Generali), oltre ad avvocati iscritti da almeno dieci anni all’albo per il patrocinio presso le giurisdizioni superiori e che rinuncino all’iscrizione all’albo professionale.
Peraltro, nel caso in cui vi sia contrasto giurisprudenziale tra le sezioni o vi siano questioni di massima di particolare importanza, sono chiamate a decidere la Sezioni Unite della Commissione Centrale, presiedute dal Presidente della Commissione, alla stessa guisa di quanto avviene per tutte le altre giurisdizioni superiori.
Le decisioni adottate dalle Sezioni Unite, specie per le questioni di estimazione complessa, hanno una valenza fondamentale in quanto la stessa Corte di Cassazione, quale giudice di mera legittimità, non sembra conservare alcuna competenza in questa particolare materia.
Inoltre, presso la Commissione Tributaria Centrale è istituito un Ufficio del Massimario che provvede a rilevare, a classificare e ad ordinare in massime le decisioni della Commissione Centrale.
Questo Ufficio è collegato con il centro elettronico di documentazione della Corte di Cassazione per ricevere, in colloquio a mezzo di apparecchiature informatiche, le informazioni sui dati memorizzati, relativi alla giurisprudenza, alla dottrina ed alla legislazione in modo da poterne facilitare la ricerca dei precedenti.
Tali attribuzioni sono essenziali ai fini di assicurare una uniformità applicativa della complessa materia tributaria su tutto il territorio nazionale, in particolare per la parte relativa alla estimazione complessa e, per il futuro, verosimilmente non potranno essere svolti da altri organismi, nemmeno dalla Corte di Cassazione, proprio per i limiti della sua competenza istituzionale.
D’altra parte i contrasti giurisprudenziali su questioni interpretative non potranno essere risolte nel loro interno neppure dalle attuali Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, in quanto non è previsto un organismo “tecnico” che abbia una siffatta funzione di raccordo e coordinamento della giurisprudenza tributaria intervenuta.
Certo, le Commissioni Regionali possono costituire centro unificante di indirizzo giurisprudenziale per le Commissioni Provinciali competenti per territorio, ma non si potrà verificare una giurisprudenza unitaria di interpretazione degli stessi testi normativi da parte di Commissioni Regionali territorialmente diverse.
D’altra parte la riprova della validità del ruolo rivestito dalla Commissione Tributaria Centrale è dovuta anche dalla scarsa incidenza dei ricorsi contro le decisioni della suddetta Commissione presentati alla Corte di Cassazione e che in media si aggirano nella misura dall’8 al 10%, del totale ricorsi e che in minima parte, poi, trovano favorevole accoglimento con la riforma della decisione impugnata [3].
[3] Vedasi, L. Vecchione: “La funzione della Commissione Tributaria Centrale”, in “il fisco” n. 28/1996, pag. 6607.
5. Conclusioni
La Commissione Tributaria Centrale, in definitiva, era o comunque avrebbe potuto divenire la “colonna portante” del sistema del contenzioso tributario, in quanto, trovandosi al vertice di una giurisdizione speciale, era la più idonea a svolgere con il suo sindacato un ruolo centrale di tutto rilievo, tenuto conto, ancora, dell’estrazione e qualificazione professionale dei componenti dei vari Collegi giudicanti, tale da far considerare gli stessi come Collegi “perfetti”, ma non certo solo dal punto di vista numerico, bensì in quanto formati da membri della più alta competenza e professionalità sapientemente diversificate, non riscontrabili, all’attualità, in nessun altro Collegio giudicante.
Tra l’altro, la sopravvivenza (sia pure cambiando nome in Corte Tributaria Centrale) della Commissione Centrale era prevista nel disegno di legge governativo approvato dal Consiglio dei Ministri nel settembre del 1990 e poi ritirato dal Governo nell’ottobre del 1991 per far posto alla delega contenuta nell’art. 30 della Legge n. 413/1991.
Relegare, in definitiva, il ruolo della Commissione Centrale a quello, quasi, di un notaio che certifichi, sia pure solennemente, il passaggio da una disciplina all’altra del contenzioso tributario, esaurendo unicamente le controversie pendenti ad una certa data, suona forse oggi come eccessivamente riduttivo.
Constatato che l’esaurimento dei ricorsi giacenti non potrà aver luogo in tempi brevi, pur operando con la massima sollecitudine, soprattutto predisponendo agili strumenti di contatto ed informazione con conseguente trasmissione dei fascicoli, tra gli Uffici dell’Amministrazione e la Segreteria della Commissione Centrale, occorre, a nostro avviso, fondatamente pensare a non disperdere l’enorme patrimonio di esperienza e di qualità acquisito nel tempo dalla Commissione Centrale.
Stiamo vivendo l’epoca della “bicamerale” e delle riforme generalizzate di ogni branca dell’Amministrazione, perché allora non pensare ad un nuovo modello organizzativo che raccolga un’eredità così prestigiosa; ad esempio, perché non pensare ad una sezione specializzata nella materia fiscale del Tribunale, o meglio, ad una nuova sezione della stessa Corte di Cassazione che sentenzi esclusivamente in materia tributaria (tutti i tributi erariali e non), accogliendo nelle proprie file, a tempo pieno, i componenti della Commissione Centrale che ne facciano richiesta.
In effetti, se ben si considera e seguendo autorevole dottrina [4], vigente il D.P.R. n. 636/72, la Suprema Corte si è trovata inserita nella procedura tributaria quasi per accidente: il legislatore della riforma tributaria forse si è dimenticato dell’esistenza dell’art. 111 della Costituzione, il quale prevede che, salvo due eccezioni riguardanti il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, contro le sentenze dei giudici ordinari e speciali, è sempre ammesso il ricorso in Cassazione per motivi di legittimità.
[4] Vedasi, A. Ciani: “Esame critico dei principi della legge delega per la riforma del contenzioso tributario”, in “il fisco”, n. 38/1992, pag. 9167.
Forse per questa dimenticanza, il legislatore non ha previsto le opportune specifiche modalità per inserire razionalmente il ricorso per Cassazione nella procedura tributaria, il che ha creato – si ripete, vigente il precedente rito – non poche situazioni di incertezza processuale, proprio nel disegnare esattamente i diversi ruoli rivestiti dalla Commissione Centrale ed, appunto, della Suprema Corte.
La disciplina ora del ricorso per Cassazione, nel processo di nuovo rito, risulta più specificata e delineata, ma restano ugualmente ampi dubbi per un concreto ed utile, per non parlare di un sollecito utilizzo di tale mezzo di difesa.
I primi dati elaborati parlano già di circa 15.000 ricorsi che ogni anno perverranno alla Cassazione in opposizione alle sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali, rispetto alle poche centinaia che riuscivano a superare il “filtro” della Commissione Centrale.
Non è quindi una semplice previsione, ma quasi una certezza la possibilità di un prossimo congestionamento di controversie tributarie davanti alla Corte di Cassazione, nella convinzione che “solo” due gradi di giudizio non siano sufficienti per dirimere un contenzioso così “specialistico” come quello tributario.
In quest’ottica è proprio necessario azzerare del tutto una istituzione come la Commissione Tributaria Centrale?
Il dibattito e lo scambio di idee sono appena all’inizio.
Grazie.
Roma, 20 marzo 1998 Domenico Caputo