Roma, 19 marzo 1998

1. Le Commissioni tributarie e la Corte costituzionale

L’art. 102, secondo comma, Cost. generalmente prevede che “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali” e che “ possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini estranei alla magistratura”. A sua volta, nella VI disposizione transitoria della Costituzione, veniva detto, al primo comma, che “entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei Tribunali amministrativi”. Sulla base di questi parametri la Corte Costituzionale ha più volte ritenuto “infondata” (con sentenze 27 dicembre 1974, n. 287 e 3 aprile 1976, n. 215) o addirittura “manifestamente infondata” (con sentenze 24 novembre 1982, n. 196 e 16 dicembre 1982, n. 217) la questione di legittimità costituzionale relativa alle Commissioni tributarie a cui già è affidata la maggior parte delle liti in materia fiscale. In particolare la Corte Costituzionale, in queste sentenze, ha precisato che l’art. 102, secondo comma, Cost., può ritenersi violato solo con la “creazione ex novo” di un organo giurisdizionale e che la VI disp. trans. della Costituzione, parlando di “revisione”, abbraccia ogni forma d’intervento legislativo, anche se diretto all’ampliamento delle competenze e al mutamento della disciplina procedimentale, purché resti ferma la sostanziale continuità organizzativa degli organi giurisdizionali coinvolti in quest’opera di revisione, temporalmente non circoscritta, essendo il termine quinquennale meramente ordinatorio. Di conseguenza, con specifico riferimento alle Commissioni tributarie disciplinate dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, la Corte Costituzionale ha per l’appunto statuito che le stesse non presentavano soluzioni di continuità con quelle precedenti, ben anteriori alla Costituzione, e non costituivano quindi nuovi giudici speciali tributari, rappresentando, invece, una più evoluta maturazione in senso giurisdizionale di quelli preesistenti, come tali preservati e legittimati a livello costituzionale.

A seguito e per effetto dei decreti legislativi 31 dicembre 1992, n.ri 545 e 546, emanati in virtù dell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, questa sostanziale continuità tra le nuove e le vecchie Commissioni tributarie, non solo non è venuta meno, ma è stata anzi volutamente accentuata, ben precisandosi, infatti, nell’art. 1, comma 1, del d. lgs. N. 546/1992, che la giurisdizione tributaria è esercitata dalle Commissioni tributarie provinciali e regionali di cui all’art. 1 del d. lgs. N. 545/1992 e ben evidenziandosi in questa norma che dette commissioni sono il risultato dell’effettuato “riordino” degli “organi di giurisdizione in materia tributaria previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636”, che, a loro volta, già erano retrospettivamente agganciati alle “Commissioni tributarie di cui al regio decreto – legge 7 agosto 1936, n. 2639, convertito nella legge 7 giugno 1937, n. 1016 e successive modificazioni”.

La prima conclusione è, quindi, che le attuali commissioni tributarie sono organi giurisdizionali costituzionalmente legittimi.

2.Le Commissioni tributarie e la Bicamerale

A conclusione di questa evoluzione normativa, il logico coronamento avrebbe dovuto essere quindi il pieno riconoscimento, sul piano costituzionale, che “la funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici ordinari, amministrativi e tributari, istituiti ed ordinati secondo le norme dei rispettivi ordinamenti”, enunciazione di principio alla quale, del resto, già era pervenuta, la precedente Commissione parlamentare per le riforme costituzionali presieduta dall’On. Jotti.

Al contrario, durante i lavori della c. d. Bicamerale, si è assistito ad una sconcertante involuzione che, se non dovesse essere prontamente fermata in aula, farebbe precipitare la situazione del contenzioso tributario ad oltre cent’anni fa e determinerebbe effetti dirompenti che vanno ben al di là del pur importantissimo settore della giustizia tributaria.

Prima di analizzare questi effetti è comunque importante verificare come si sia giunti a tanto.

Nello scontro sulla giustizia, e soprattutto sulla giustizia penale, sulla distinzione o meno tra i pubblici ministeri e veri e propri giudici e sulla frazionabilità o meno del C.S.M., è rimasto disgraziatamente coinvolto e strumentalizzato anche il tema, di altissimo profilo, ma spesso malinteso, dell’unità della giurisdizione e della distinzione tra giudici ordinari e speciali, amministrativi e tributari.

Per quanto riguarda questi ultimi, in una delle bozze predisposte dall’On. Boato era stato espressamente previsto che “possono essere istituiti giudici speciali, oltre che per la giustizia tributaria, esclusivamente per determinate materie diverse da quella penale e per il solo giudizio di primo grado”.

In tal modo la giustizia tributaria veniva costituzionalmente riconosciuta e preservata. Nella seduta del 28 ottobre (data evidentemente foriera di sventure) 1997 veniva, peraltro, approvato l’emendamento dell’On. Tiziana Parenti, in base al quale la funzione giurisdizionale veniva riconosciuta ai soli giudici ordinari e amministrativi e negata invece ai giudici tributari, indirettamente ricompresi nella categoria dei giudici speciali da abolire, senza distinzione alcuna, salva, naturalmente, la prevista istituzione di sezioni specializzate presso il giudice ordinario.

Nonostante i successivi interventi dell’On. Senese e dell’On. Giovanni Pellegrino, grazie al sorprendente coniugio tra forze politiche non precisamente contermini (Lega, Rifondazione comunista, Forza Italia), l’emendamento è stato approvato.

Dalla lettura, veramente raccomandabile, degli atti parlamentari lo sconcerto di alcuni è ben rappresentato dal dialogo tra l’On. D’Alema, che parla di effetto “devastante” del voto e l’On. Mattarella che esprime riflessioni “sulla portata delle conseguenze del voto”.

Questa, in sintesi, la cronaca di una vicenda su cui, non solo tutti i parlamentari, per il riesame nell’Aula, ma tutti i cittadini dovrebbero essere chiaramente informati e consapevoli.

Va tuttavia chiarito l’equivoco di fondo su cui è maturata la scelta finale della Bicamerale.

Non è facile capire perché la “costituzionalizzazione” dei giudici tributari costituirebbe “un eccesso di costituzionalizzazione”, mentre risulta tutt’affatto sorprendente l’assunto che il giudice fiscale è giudice speciale con rilevanza penale e la giustizia tributaria in genere ha “forti profili penali”, per cui dovrebbe venir meno una giustizia tributaria affidata ai giudici speciali, stante il divieto di giudici speciali in materia penale.

Le commissioni tributarie non hanno mai avuto competenza in materia penale, né le pronunce emesse da tali organi hanno mai avuto rilevanza penale, essendo se mai vero l’esatto contrario, che, cioè, le sentenze dei giudici penali possono avere effetto nell’ambito dei giudici tributari (art. 12 della legge n. 516/1982).

Tanto meno possono confondersi le commissioni tributarie con vecchi e male assimilati ricordi di giudici speciali in materia penale ormai da tempo cancellati dal nostro ordinamento.

Anzi, come sopra accennato, se pur non possono considerarsi ordinari, in senso soggettivo, cioè quanto alla loro composizione, tali ormai possono essere ritenuti i giudici tributari sul piano oggettivo, stante l’identico ambito del controllo in cassazione delle sentenze emesse da tali giudici in secondo grado e di quelle pronunciate dai giudici ordinari così pure soggettivamente qualificabili.

La seconda conclusione è, comunque, e quindi che i massimi esponenti politici in Bicamerale hanno già espresso il loro convincimento volto alla salvezza delle Commissioni tributarie e anzi alla loro costituzionalizzazione.

3. Le Commissioni tributarie e la loro utilità

Chiarito l’equivoco di fondo sulle scelte operate dalla Commissione Bicamerale, quanto all’utilità delle Commissioni tributarie, giova ribadire tre semplicissime considerazioni, qui espresse, sotto forma di interrogativi:

1) Innanzi tutto, sul piano storico e costituzionale, se la Consulta, per quasi cinquant’anni, con riferimento alle vecchie commissioni tributarie, prima e dopo la riforma del 1972, ha sempre ritenuto trattarsi di organi giurisdizionali ben compatibili con il nuovo assetto ordinamentale, che senso ha eliminare oggi i nuovi giudici tributari, che, quanto a indipendenza, imparzialità e idoneità tecnica, risultano sicuramente di gran lunga più dotati di quelli precedenti e sono, inoltre, forniti di un’incisività di poteri (basti pensare alla sospensione cautelare e ai giudizi di ottemperanza), di una struttura verticale (con la riduzione dei gradi e l’ampliato controllo da parte della Suprema Corte di Cassazione) e di una disciplina procedimentale (specie per garanzia di forme e per rispetto del contraddittorio) neppure lontanamente paragonabile a quelle delle “vecchie” Commissioni?

2) E ancora, sul piano di un proficuo realismo, se, come tutti sanno i giudici ordinari, penali e civili, ivi comprese le sezioni specializzate, sono tanto oberati di lavoro che, nonostante tutti gli sforzi sinora fatti, dall’istituzione dei giudici di pace alla creazione delle sezioni stralcio, per ottenere una sentenza occorrono lustri e il giudicato costituisce un vero e proprio miraggio, quale giustificazione può mai avere l’ulteriore travaso su siffatti giudici di un contenzioso tributario di centinaia di migliaia di ricorsi, che finirebbe per travolgere e la giustizia civile e quella tributaria (che, proprio grazie ai suoi giudici, funziona molto più speditamente), in una sorta di “Vajont” giudiziario di proporzioni veramente catastrofiche?

Assai efficacemente l’On. Boato, relatore sul sistema delle garanzie nella relazione al progetto di legge costituzionale presentato il 4 novembre 1997 scrive: “La situazione così determinatasi rischia di comportare un devastante incremento del carico attribuito agli organi giurisdizionali ordinari; ed è purtroppo facile prevedere che ciò si rifletterà assai pesantemente sulla già scarsa efficienza degli organi giudiziari verosimilmente penalizzandone l’attività”.

3) Infine, sul piano del coinvolgimento sociale, se è vero, com’è vero, che di tutte le esperienze di giurisdizione mista, togata e laica, l’unica veramente riuscita è proprio quella tributaria, non solo perché ad essa vi partecipano giudici togati, civili, penali e amministrativi, e componenti laici, di varia estrazione e professionalità, ma anche perché al suo concreto esercizio attivamente partecipano difensori, pur essi di varia estrazione e professionalità, per quale ragione dovrebbe interrompersi questa positiva esperienza, ricalcando il vecchio modulo delle sezioni specializzate di altri giudici, in cui la partecipazione dei difensori “laici” appare, a dir poco, problematica, con evidente gravissimo pregiudizio per le categorie interessate e con l’oggettivo impoverimento dei risultati ottenibili senza il loro prezioso apporto, tenuto conto dell’indiscutibile specialità della materia?

La terza conclusione è, quindi, che la concreta esperienza delle Commissioni tributarie è positiva e va confermata come dimostrano anche i recentissimi dati statistici sulla forte riduzione del contenzioso pregresso.

Esse, quindi, possono e debbono solo essere rinforzate e personalmente questo è l’auspicio che formulo in questo importante consesso.

4. Le Commissioni tributarie e il disegno di legge predisposto dalla c. d. Commissione “Marongiu”

Il lungo cammino che, come appena accennato, ha dunque storicamente caratterizzato l’evoluzione del contenzioso tributario nel nostro paese dovrebbe così concludersi con l’approvazione del disegno di legge sollecitato dal Parlamento (con gli ordini del giorno approvati da Camera e Senato rispettivamente nelle sedute del 15 ottobre 1996 e del 24 ottobre dello stesso anno), il cui testo è stato predisposto dalla c. d. Commissione Marongiu, istituita dal Ministro Visco con proprio decreto 27 febbraio 1997. In questo disegno di legge, fra l’altro, è opportunamente generalizzata la competenza giurisdizionale delle Commissioni tributarie a tutte le liti fiscali e risultano corrispondentemente ampliati i poteri cautelari dei giudici tributari, mentre viene decisamente potenziato, anche sotto il profilo dell’autonomia finanziaria, l’organo di autogoverno (Consiglio di giustizia tributaria), sono felicemente avviati a soluzione pure i problemi di compatibilità dei c. d. componenti laici delle commissioni, sui quali si è ultimamente appuntata l’attenzione della stampa non solo specializzata, e sono dettate alcune norme per rendere il processo più snello nell’interesse e della parte pubblica e dei contribuenti.

On. Prof. Gianni Marongiu