Il diritto e il mandato a rappresentare i Giudici Tributari.
Desiderando dare significato certo alla parola “rappresentanza”, ho consultato i testi e dizionari giuridici ottenendo prevalentemente questa definizione : “L’uso di questa parola nel linguaggio giuridico è frequente, pur essendo anche in esso diverso il suo significato. Si abbiano presenti il procuratore che tratta negozi di altri; l’avvocato che rappresenta una delle parti in giudizio; il procuratore come organo del pubblico ministero; oppure il parlamentare eletto a rappresentare il popolo. In queste diverse ipotesi vediamo che vi è rappresentanza quando una persona agisce in nome di un’altra oppure sostituisce un’altra”. Ma ho anche parimenti cercato il significato della parola “mandato” che, sempre dai dizionari e manuali giuridici è così definita: “In diritto, si definisce mandato il contratto mediante il quale un soggetto detto mandatario assume l’obbligazione di compiere atti giuridici per conto di un altro soggetto detto mandante”. Per cui il mandato di rappresentanza, applicato alla sfera politica, è quell’atto che determina l’autorevolezza di un individuo a rappresentare giuridicamente un gruppo di persone e, in tal senso, sempre in ambito giuridico, non sono, perché logicamente ininfluenti, altresì specificate nè le peculiarità sociali, nè quelle culturali e professionali del soggetto a cui, tale mandato, viene affidato. Le ragioni vanno quindi ricercate nella fiducia che il mandante, singolo o gruppo di individui, riconosce a colui che chiama a rappresentarlo, e sarà proprio, solo, al mandante che dovrà rispondere colui che ha ricevuto il mandato, in ordine alla positività o negatività del suo operato.
Questo dicono “i sacri testi”, ma questo recita anche il buon senso, quando parliamo del diritto di una persona ad agire ed operare in nome e per conto di altri.
Non è così, evidentemente, per i “signori” dell’associazione nazionale magistrati tributari, o AMT che dir si voglia, i quali, con un ennesimo atto di imperio e prevaricazione, nella giornata del 16 giugno 2006, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, hanno, pretestuosamente, e con la solita veemenza, attaccato lo scrivente, reo, a parer loro, di aver, senza alcun diritto, in quanto non giudice tributario, comunicato il pensiero dei Giudici tributari iscritti alla Confederazione Unitaria Giudici Italiani tributari – C.U.G.I.T., in merito alla ormai decennale farsa dell’unificazione”.
Secondo questi “soliti signori”, lo scrivente, pur essendo stato a tutti gli effetti, e per libera elezione, nominato segretario generale del sodalizio, non aveva il diritto di scombinare i piani faticosamente orditi dal loro presidente in termini di unificazione, riportando la voce di quei Giudici che, evidentemente, non intendono appiattirsi davanti alla elefantiaca struttura di un associazione i cui intendimenti positivi vengono poi nei fatti, sempre seguiti dai non condivisibili, negativi comportamenti.
Dimenticano, loro signori, che questo diritto, o mandato di rappresentanza, non mi è stato conferito, per funzione, status o altro, ma mi è stato conferito ben oltre dieci anni or sono, dagli unici aventi questo titolo: gli iscritti alla C.U.G.I.T., iscritti che, per il terzo mandato consecutivo, hanno, evidentemente, voluto significarmi il loro apprezzamento e fiducia per il lavoro fin qui svolto in loro favore, per il bene della Giustizia tributaria e dei suoi operatori. Secondo questa strana e un po’ perversa logica mi aspetto che tra poco i signori dell’AMT contesteranno anche il signor Ministro della Giustizia in quanto non è un Giudice!
Questo increscioso fatto, che per altro non mi stupisce ben conoscendo la nobiltà d’animo di questi signori, suggerisce altresì un attenta riflessione su altri fatti ben più importanti, primo tra tutti quello afferente le motivazioni che inducono l’AMT a rifiutare la nostra piena disponibilità a sottoscrivere, insieme con le altre sigle sindacali, un documento di programma volto a migliorare l’attuale situazione della Giustizia tributaria. La risposta a questa nostra proposta è incomprensibilmente sempre la stessa : “un’unica sigla sindacale è sicuro momento di attenzione da parte dei politici”. Quasi che CGIL, CISL e UIL non abbiamo potuto, e non possano, operare in unitarietà di intenti perché non riunite sotto un unico ombrello.
Non sarà, per caso, che con questo unico ombrello si tende a coprire anche la libertà di espressione di coloro che desiderano esprimersi in piena autonomia?
Ma vi sono anche altre questioni che destano preoccupante attenzione, come quella che riguarda la proroga del Consiglio di Presidenza. Ricordo che quando alla Presidenza di tale Consiglio vi era proprio l’attuale Presidente dell’AMT vi fu analogo provvedimento che la Cugit contestò arrivando a deferire al Parlamento e alla Presidenza della Repubblica gli autori di questa inaccettabile violazione dei principi costituzionali, violazione che ancora una volta ci viene perpetrata con l’assenso quiescente dell’Associazione. Come mai, visto i proclami di indignazione in tal senso a voce recitatati da lor signori, non si sono poste in essere iniziative parlamentari adeguate in opposizione ad un fatto che priva i Giudici tributari del diritto di esprimere i suoi rappresentanti al Consiglio di Presidenza “sine die?”
Vi è poi un ultima considerazione, che nasce dalle testimoniate difficoltà da voi espresse nella gestione del giornalino dell’AMT “costato così tanti sacrifici”. Se vi fossero state delle sincere volontà di unificazione, espresse nella ipotesi di voler costituire un gruppo migliore, più rappresentativo ed efficace, la logica avrebbe giustificato l’assunzione di quegli strumenti, come la rivista, il sito e la provata capacità organizzativa della C.U.G.I.T., quali momenti di maggior funzionalità ed operatività del costituendo “nuovo gruppo”, mentre di fatto, gli atti e i comportamenti, non ultimo quello del 16 giugno u.s., vanno nell’unica direzione di voler tacitare le voci “dissonanti dal coro” e questo, privandole degli strumenti che, sino ad oggi, hanno fatto la differenza e hanno guadagnato alla Confederazione così tante simpatie e proseliti. Per tutto questo, pur condividendo appieno tale decisione, non io, ma i Giudici che a pieno diritto fanno parte della Confederazione Unitaria dei Giudici Italiani Tributari C.U.G.I.T., hanno, e pretendono, dovuta autonomia nel dialogo con gli altri Giudici, con la politica e la società civile, perché ritengono di poter formulare, in totale libertà di pensiero, nuove idee e proposte espresse a beneficio della positiva crescita della Giustizia tributaria, dei Giudici e della società in cui essi operano e si esprimono, nel rispetto della democrazia e dei principi Costituzionali, totalmente svincolati da ogni prebenda o brama personale di potere e di gruppo. E’ per questi motivi che ho accettato e continuerò nell’espressione concreta del legittimo mandato di rappresentanza di questi Giudici, un mandato che solo coloro che lo hanno a suo tempo espresso potranno revocare, e questo, nonostante le vostre urla, le offese o le minacce più o meno esplicite rivolte al mio personale indirizzo.
Franco Antonio Pinardi
Segretario Generale della
Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari – C.U.G.I.T.