RELAZIONE ORDINE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI DI VENEZIA

In questa consueta giornata dedicata all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario tributario intendo sottoporre all’attenzione dei Partecipanti alcune riflessioni attinenti a tematiche di rilievo oggetto della più recente evoluzione dell’attività di accertamento delle articolazioni territoriali dell’Agenzia delle Entrate.

1. Introduzione

Con riguardo a tale evoluzione, giova anzitutto sottolineare che la cate­goria professionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili che rappresento è a favore della lotta all’evasione fiscale, con la necessaria speci­ficazione che la medesima va condotta dagli Organi a tal fine deputati tenendo sempre presente la distinzione tra aziende del tessuto produttivo che generano ricchezza per il Paese ed aziende che, di contro, mediante meccanismi frodatori di varia natura, sottraggono ricchezza al Paese e, per l’effetto, alla collettività.

Si tratta di un’introduzione indispensabile, tra l’altro, per un corretto inquadramento delle attività di accertamento che approdano davanti alle Commissioni Tributarie.

In questa prospettiva intendo porre alla Vostra attenzione le metodolo­gie di accertamento condotte in epoca più recente dall’Agenzia delle Entrate, in particolare con riguardo:

– all’abuso del diritto;
– alla antieconomicità dell’attività imprenditoriale svolta dal contribuente;
– alle indagini bancarie;
– alla deduzione di costi ritenuti riferibili ad operazioni inesistenti;
– ai costi riconducibili a proventi da reato.

2. Abuso del diritto ed antieconomicità: necessità di un bilanciamento tra le parti per attuare i principi del giusto processo.

Giova prendere le mosse dall’abuso del diritto e dalla antieconomicità del comportamento adottato dall’imprenditore in quanto rappresentano la “nuova frontiera” dell’attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Si tratta di due tematiche sulle quali l’Agenzia delle Entrate sta impie­gando significative risorse, non sempre applicando correttamente i principi di imparzialità e buon andamento che debbono caratterizzare l’azione amministrativa ai sensi dell’art. 97 della Carta Costituzionale e alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente.

Orbene, con riguardo ad entrambe le fattispecie in rassegna, due princi­pi fondamentali debbono essere rispettati dall’Amministrazione finanziaria.

Il primo: l’onere della prova grava sull’Agenzia delle Entrate, che deve spiegare e dimostrare adeguatamente perché la forma giuridica dell’opera­zione abbia carattere anomalo o inadeguato (nel caso di abuso del diritto) ovvero perché l’operazione oggetto di censura dovrebbe essere ritenuta con­traria al principio di economicità.

In quest’ottica, va letta con favore la recente posizione assunta dalla Corte di Cassazione (sent. 21 gennaio 2011, n. 1372), la quale ha confermato che l’applicazione del principio dell’abuso del diritto deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra elusione e libertà imprenditoriale, specie quando si verta in tema di operazio­ni di ristrutturazione e/o riorganizzazione di gruppi industriali.

Il secondo: l’Amministrazione finanziaria, anche in assenza di norme specifiche con riguardo alla fattispecie accertativa azionata, deve avviare un contraddittorio effettivo con il contribuente alfine di valutare con attenzio­ne le ragioni sottese all’operazione sottoposta a verifica.

Si tratta di un principio in relazione al quale giova richiamare la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, occu­pandosi degli accertamenti elevati sulla scorta degli “studi di settore”, ha enfatizzato il carattere generale del principio di cui si discorre, statuendo espressamente che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giu­sto procedimento che legittima l’azione amministrativa (in questo senso v. Cass. n. 2816 del 2008, sulla base di argomentazioni che il collegio condivide e con­ferma)”.

3. Indagini bancarie, deduzione di costi ritenuti riferibili ad operazio­ni inesistenti e indeducibilità di costi riconducibili a proventi da reato: la necessità di tassare il reddito effettivo.

Le modalità di verifica ed accertamento basate su indagini bancarie, sulla effettiva esistenza e consistenza di operazioni di acquisizione di beni e/o di servizi, nonché sul sostenimento di costi attinenti a fatti, atti o attività qua­lificabili come reato, debbono comunque essere preordinate al consegui­mento dell’interesse pubblico che l’imposizione avvenga su basi effettive e non meramente virtuali.

E così, con riguardo all’attività riveniente da indagini bancarie su conti del contribuente, si assiste non di rado a ricostruzioni che, partendo dal pre­supposto che le somme, sia in entrata, sia in uscita, siano coperte da una tutela privilegiata in capo all’Amministrazione finanziaria, giungono alla contestazione di importi sganciati dalla specifica situazione del contribuen­te ispezionato.

Ed ancora, quanto a contestazioni mosse sul piano della effettività (oggettiva e/o soggettiva) di operazioni di acquisizione di beni e/o di servi­zi, è frequente imbattersi in riprese fiscali che hanno l’effetto di giungere alla quantificazione di redditi non in linea con le caratteristiche del contribuen­te sottoposto a verifica, anche in relazione al settore in cui egli opera.

Con riferimento a tali metodologie di accertamento, è necessario tenere sempre presente, anche nell’ottica giurisdizionale, che il fine ultimo dell’im­posizione è conseguito quando rispetta l’art. 53 della Carta Costituzionale.

Prova ne sia che la stessa giurisprudenza di legittimità ha sovente riba­dito (cfr., ad es., Cass. civ, sez. trib., 25 novembre 2008, n. 28028) la necessità che l’imposizione reddituale venga operata su base “netta” ed “effettiva” alfine di rispettare la previsione fondamentale del succitato art. 53.

Ecco allora, che, indipendentemente dai profili strettamente giuridici sottesi alle fattispecie in esame, le stesse debbono essere valutate anche sul piano della effettività e della verosimiglianza, ove occorra, in presenza di un quadro complesso e di una situazione “di stallo” (siccome definita dalla Corte di Cassazione: v, ad es., sent. 17 novembre 2006, n. 24464) median­te l’impiego, da parte delle Commissioni Tributarie, dei poteri loro attribui­ti dall’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, quale la consulenza tecnica d’uf­ficio.

Infine, proprio sul tema in esame, si segnala che, in relazione all’art. 14, comma 4 bis, della L. n. 537 del 1993, a mente del quale non sono dedu­cibili dal reddito i costi e le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualifi­cabili come reato, è davvero importante attendere l’esito dell’udienza tenu­tasi presso la Corte Costituzionale l’8 febbraio scorso, confidando nel fatto che venga riaffermato il principio di effettività dell’imposizione.

4. Un’ultima riflessione: le tendenze sistemiche in tema di istituti deflattivi del contenzioso tributario.

Nel quadro ora descritto, non convince il significativo inasprimento del costo di accesso agli istituti deflattivi del contenzioso (ravvedimento opero­so, accertamento con adesione, definizione agevolata delle sanzioni, acquie­scenza, conciliazione giudiziale) introdotto dalla recente L. n. 220 del 2010.

Si tratta, infatti, di un elemento di incoerenza di fondo che rischia di far risalire l’accesso al contenzioso in luogo della composizione delle liti poten­ziali e pendenti tra contribuenti ed Amministrazione finanziaria, il tutto in vista del soddisfacimento di mere esigenze di gettito che, ispirate ad una logica meramente congiunturale, corrono il rischio di tradire le linee di fondo della riforma del sistema sanzionatorio introdotta nella seconda metà degli anni novanta.

Dott. Guido Gasparini Berlingieri