RELAZIONE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Anzitutto porto alle Autorità ed a tutti i presenti il saluto del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Padova, cui unisco il mio personale, assieme al ringraziamento per l’invito a partecipare a questa cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario tributario.
Poiché è consuetudine che si tratti brevemente di problemi di principio che interessino l’attività dei giudici tributari, vorrei cogliere l’occasione odierna per qualche riflessione sul tema dell’interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata.
Infatti, se rappresenta un canone pacifico e di portata generale dell’attività interpretativa [tanto generale che si è autorevolmente affermata l’applicabilità di esso anche all’attività dell’amministrazione finanziaria, e non solo del giudice (cfr. F. MOSCHETTI, Profili Generali, in Moschetti (a cura di), La capacità contributiva, Padova, 1993, p. 13 s.).] che, di fronte a più possibili significati dei testi normativi, vadano preferiti quelli conformi alla Costituzione rispetto a quelli sospettabili di illegittimità costituzionale, ne è sviluppo recente, e foriero di qualche difficoltà pratica per i giudici di merito, l’inammissibilità dell’ordinanza con la quale venga sollevata dal giudice a quo una questione di illegittimità costituzionale, senza aver prima verificato la possibilità di interpretare la disposizione cui il dubbio si riferisce in un senso tale da evitare il contrasto lamentato. [Sul tema, senza alcuna pretesa di completezza, si possono ricordare E. DE MITA, Diritto tributario (giur. Cost.), Enc. D., Annali, 2010, p. 256; G. U. RESCIGNO, Quale criterio per scegliere una sentenza interpretativa di rigetto anziché una ordinanza di inammissibilità per mancato tentativo di interpretazione adeguatrice?, in Giur. cost, 2008, p. 3362 ss.; ID., Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare principi dalle sentenze della Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge onde renderle conformi a tali principi, ivi, 2008, p. 2412 ss.; ID., Una ordinanza di inammissibilità che è in realtà una decisione interpretativa di rigetto, ivi, 2008, p. 2335 s.; F. MODUGNO, Inammissibilità della quaestio legitimitatis per omessa interpretazione costituzionalmente conforme e bilanciamento in concreto di diverse esigenze costituzionali, ivi, 2008, p. 2405 s.; G. AMOROSO, I seguiti delle decisioni di interpretazione adeguatrice della corte costituzionale nella giurisprudenza di legittimità della corte di cassazione, in Riv. trim. dir. Pubbl., 2008, p. 769 s.: M. RUOTOLO, Alcuni eccessi nell’uso della “interpretazione conforme a… “, in Giur. cost, 2007, p. 1214 ss.; G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a Costituzione, Milano, 2006; V. AZZONI, L’interpretazione adeguatrice della norma (sentenze interpretative di rigetto della corte costituzionale e processo tributario), in Boll, trib., 2007, p. 610; ID., Giudizio tributario e interpretazione adeguatrice, in il Fisco 1, 2006, p. 6349 ss.; E. DE MITA, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 2006, p. 119; O. CHESSA, Corte costituzionale e trasformazioni della democrazia pluralistica, in Corte costituzionale e processi di decisione politica, a cura di V. Tondi Della Mura – M. Carducci – R.G. Rodio, Torino, 2005, p. 54 ss.; L. PRINCIPATO, Il rapporto fra la corte costituzionale ed il giudice a quo, nel sindacato sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, fra esercizio legittimo di funzioni e menomazione di attribuzioni, in Giur. cost., 2004, p. 1017; M. R. MORELLI — S. MORELLI, L’incidente di costituzionalità – Come formulare le questioni di costituzionalità senza incorrere nella sanzione della inammissibilità – L’interpretazione adeguatrice della norma ordinaria – L’applicazione diretta della costituzione, Giuffrè, Milano, 2004, passim; G. MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, p. 314 ss.; A. CARDONE, Ancora sulla dichiarazione di manifesta inammissibilità per difetto di interpretazione adeguatrice del giudice a quo, in Giur. cost., 2002, p. 35 s. A. RAUTI, L’interpretazione adeguatrice come criterio logico tra rilevanza e non manifesta infondatezza (in margine alla sent. cost. n. 207/2001), in Giur. it., 2002, p. 383 ss.; A. ANZON, Il giudice a quo e la Corte costituzionale tra dottrina dell’interpretazione conforme a Costituzione e dottrina del diritto vivente, in Giur. cost., 1998, p. 1083 ss.; E. LAMARQUE, Una sentenza interpretativa di inammissibilità?, in Giur. cost., 1996, p. 3107 ss.; M. RUOTOLO, Corte, giustizia e politica, in Corte costituzionale e processi di decisione politica, cit., 380; ID., L’interpretazione conforme a Costituzione nella più recente giurisprudenza costituzionale. Una lettura alla luce di alcuni risalenti contributi apparsi nella Rivista ‘Giurisprudenza costituzionale”, in Corte costituzionale e processo costituzionale, a cura di A. Pace, Milano, 2006, p. 906.]
Uno sviluppo, questo, non esente da contestazioni: in particolare perché, in mancanza di un preciso fondamento normativo, sembra trasformare il sindacato “accentrato” della Corte costituzionale in un sindacato “collaborativo”, se non “diffuso”, permettendo ad essa di adottare un atteggiamento elusivo dei problemi sollevati, giacché il suo intervento sarebbe limitato ai casi in cui non vi sia altra possibilità di evitare il contrasto con la Costituzione se non eliminando il testo censurato. [Cfr. in particolare G. U. RESCIGNO, Quale criterio, cit., p. 3363; ID., Del preteso principio, cit., p. 2417 s.; M. RUOTOLO, Alcuni eccessi, cit., p. 1214 ss.; G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, p.199. Inoltre, perché crea confusioni sui confini del ruolo interpretativo dei giudici (specie riguardo al “diritto vivente” elaborato dalla Corte di Cassazione), [Giacché, mentre, tradizionalmente, in presenza di un diritto vivente contrario alla Costituzione, la Corte costituzionale soleva adottare una sentenza interpretativa di accoglimento (e secondo, p. es. Corte cost., 350/1997, “in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure — adeguandosi al diritto vivente — la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre è in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali”), di recente essa ha emanato ordinanze di manifesta inammissibilità che sembrano seguire una linea diversa, assumendo che nemmeno orientamenti giurisprudenziali e dottrinali univoci possano limitare l’autonomia interpretativa del giudice, e lamentando che il rimettente, pur avendo ben presente la possibilità di un’interpretazione diversa da quella consolidata, aveva egualmente sollevato la questione per veder suffragare tale diversa esegesi dalla Corte, la quale ha invece ritenuto detta questione inammissibile per difetto di rilevanza (cfr., per esempio, ordd. n. 367/2001, 2/2002, 109/2003, 297/2007; sul problema, cfr. A. ANZON, Interpretazione “corretta” e interpretazione “conforme a Costituzione” nel regime delle rogatorie internazionali, in Giur. cost, 2002, p. 2428, Id., Il giudice a quo e la Corte costituzionale, cit., p. 1008; V. MARCENÒ, Le ordinanze di manifesta inammissibilità per “insufficiente sforzo interpretativo”: una tecnica che può coesistere con le decisioni manipolative (di norme) e con la dottrina del diritto vivente, in Giur. cost, 2005, p. 785 s.; T. GUARNIER, L’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale tra interpretazione conforme e rilevanza. Un uso improprio delle formule decisionali?, in Giur. It., 2007, 8-9; G. SANTORELLI, Il c.d. diritto vivente, cit., p. 555 ss.).] rispetto a quello della Corte costituzionale (la quale sindacherebbe così la valutazione sui requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza, rimessa invece al giudice a quo) ed il rischio di un uso disinvolto o eccessivo di questo canone, fino alla forzatura dei limiti del testo di legge, e pertanto alla sostanziale disapplicazione di essa da parte dei giudici comuni, in contrasto con la scelta del legislatore Costituente di riservare alla Corte questa funzione. Ma non si può nemmeno ignorare il diffuso apprezzamento per i benefici che può portare questa forma di collaborazione tra organi giurisdizionali, se l’interpretazione è mantenuta nei limiti testuali della legge. [Cfr. per tutti E. LAMARQUE, Il seguito delle decisioni interpretative e additive di principio della Corte costituzionale presso le autorità giurisdizionali (anni 2000-2005), in Il giudizio sulle leggi e la sua diffusione, a cura di E. Malfatti – R. Romboli – E. Rossi, Torino, 2002, p. 758 ss.; G. SORRENTI, La Costituzione “sottintesa”, in http://www.cortecostituzionale.it/informazione/atti ConvegniSeminari.asp, 7 ss.]
Dal punto di vista pratico, è evidente che questo indirizzo richiede un impegno non trascurabile ai giudici tributari (nonché alle parti del processo interessate al rilievo di una questione di illegittimità costituzionale, alle quali converrà prospettare le loro ragioni con tutta la documentazione necessaria sulla giurisprudenza e dottrina utili a facilitare le valutazioni non lievi richieste alla commissione tributaria per pronunciarsi): di fronte ad una disposizione che sollevi il relativo dubbio, non ci si potrà limitare a descrivere il problema in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza, rimettendo in toto alla Corte costituzionale l’onere di risolverlo mediante la pronuncia più adeguata. Se era tradizionale la sollecitazione della Corte ai giudici di merito affinchè cercassero una soluzione interpretativa idonea a superare il dubbio sollevato, prima di investirla di esso, ed a tale scopo si utilizzavano anche le sentenze interpretative di rigetto, [Cfr. per tutti R. ROMBOLI, L’attività creativa di diritto da parte del giudice, in Quest. Giust., 2008, 203; S. LA ROSA, Costituzione, Corte costituzionale e diritto tributario, in Dir. e prat. Trib, 1980, I, p. 233 ss. (cfr. p. es. Corte cost., 456/1989, nel senso che quando il dubbio di costituzionalità “cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge, è indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l’impossibilità di una lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l’esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione … Altrimenti tutto si riduce ad una richiesta di parere alla Corte Costituzionale, incompatibile con la funzione istituzionale di questo Collegio”).] ora viene prospettato come un autentico dovere quello di verificare preventivamente se sia possibile dare al testo legislativo un senso compatibile con il parametro costituzionale della cui violazione si dubita, e di motivare adeguatamente nell’ordinanza di rimessione le ragioni che impediscono: altrimenti, detta ordinanza è giudicata inammissibile, in quanto non motivata su un punto essenziale ai fini della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione.
Si deve certo consentire su affermazioni come quella per cui “le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perchè è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perchè è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte cost., 356/1996) ovvero “una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima perché può essere interpretata in un senso che la ponga in contrasto con parametri costituzionali, ma soltanto se ne è impossibile una interpretazione conforme alla Costituzione” (Corte Cost., 147/2008). Ma una conseguenza pratica di ciò, per ricordare una decisione di grande risonanza attinente al processo tributario, è che si è considerata inammissibile l’ordinanza con la quale era stata sollevata questione di illegittimità costituzionale relativa all’inapplicabilità al processo tributario della sospensione cautelare prevista dall’art. 373 c.p.c, perché il giudice rimettente aveva argomentato tale inapplicabilità richiamando genericamente la “giurisprudenza assolutamente prevalente” e la “fedele applicazione delle regole ermeneutiche”, pur essendovi sul punto solo contrastanti orientamenti della giurisprudenza di merito, “che non assurgono a diritto vivente” ( Corte cost., 217/2010). Pertanto, non solo ai giudici la Corte costituzionale richiede una ricerca dettagliata sulla questione, escludendo ogni sua funzione supplente al riguardo, ma si avvale della sua sapienza giuridica per smentirne le conclusioni che ritenga affrettate, e spesso nelle ordinanze di inammissibilità non indica nemmeno l’interpretazione della legge che ritenga costituzionalmente conforme, lasciando ai giudici il compito di individuarla.
Il riferimento sopra ricordato all”‘impossibilità” di un’interpretazione conforme a Costituzione suona palesemente impegnativo, richiedendo quello “sforzo interpretativo” la cui insufficienza dà luogo all’inammissibilità. Ma se si considera quanto si è accennato poc’anzi riguardo alla possibilità che questo sforzo debba essere fatto anche in contrasto con il “diritto vivente”, o avvalendosi dei principi posti a base di sentenze additive della Corte costituzionale riferite ad altre disposizioni, appare chiaro che è in gioco non solo una questione tecnica, concernente le modalità di motivazione dell’ordinanza con cui si sollevi la questione di illegittimità costituzionale.
Il risultato pratico del nuovo indirizzo è in primo luogo una valorizzazione della funzione interpretativa dei giudici, al fine di mantenere l’applicazione della legge ordinaria nei limiti della conformità a Costituzione, superando non solo le imperfezioni della formulazione del testo ma anche, se necessario, quelle di una ratio disattenta ai vincoli posti alla discrezionalità del legislatore ordinario. Nulla di rivoluzionario in sé, considerando come, p. es., il principio di capacità contributiva sia argomento frequentemente usato nell’attività esegetica della Suprema Corte. [Cfr. MOSCHETTI, I principi di giustizia fiscale della Costituzione italiana, per “l’ordinamento giuridico in cammino” dell’Unione europea, in Riv. dir trib., 2010, I, p. 427 ss. il quale cita come esempi nella giurisprudenza di legittimità, C s.u. 02/15063, C s.u. 08/30055, 08/30056, 08/30057, C s.u. 09/26635, nonché C 09/10658, 08/5786, 08/26449, 08/23602, 08/26459, 08/27648, 08/28028, 07/18983, 06/21326.] Ma se investire della questione la Corte costituzionale diventa l’extrema ratio, sono i giudici di merito ad assumersi in prima battuta l’onere di assicurare l’armonia tra i principi della Carta e il resto dell’ordinamento. Se a tal fine possono anche motivatamente dissentire da indirizzi consolidati della Cassazione (che senza dubbio si è mostrata più volte disponibile a rivedere il “diritto vivente” in vista di un’interpretazione adeguatrice, ma altrettanto certamente potrà farlo con più sicurezza se sollecitata da un insopprimibile dissenso dei giudici di merito), significa che l’ordinamento ha in sé gli strumenti per ovviare non solo agli errori interpretativi degli operatori del diritto, ma anche a quelli del legislatore, senza dover attendere i tempi del giudizio incidentale di costituzionalità. Forse, le remore della giurisprudenza costituzionale (che si è per questo detta “necessitata”) [Cfr. E. DE MITA, Diritto tributario (giur. Cost.), cit., p. 249; ID., Fisco e Costituzione, in Riv. dir. Trib., 2004, I, p. 581 ss.] di fronte alle conseguenze per la finanza pubblica della dichiarazione di incostituzionalità di una norma impositrice non avrebbero ragione di porsi nella valutazione dei giudici di merito, chiamati da subito ad attribuirle un senso conforme alla Costituzione, così prevenendo il rischio di dover restituire importi raccolti per anni in forza di un’applicazione contraria a quest’ultima.
Che cosa si opporrebbe dunque ad una prospettiva di diffusione e profonda operatività dell’interpretazione adeguatrice, per un verso più professionalmente impegnativa per tutti i soggetti coinvolti nell’applicazione dei tributi, ma per altro verso suscettibile di favorire una maggiore aderenza di quest’ultima ai principi costituzionali? Forse, la convinzione di parte della dottrina che sia “problematico” rinvenire nei principi costituzionali in materia tributaria “un efficace fattore di orientamento interpretativo” e di limitazione dei margini di discrezionalità del legislatore, giacché sul contenuto del principio di capacità contributiva esisterebbero ancora dubbi, perché esso proteggerebbe interessi contrapposti e complementari (l’interesse fiscale e quello dei contribuenti) e sarebbe talvolta difficile trarre dalle sentenze della Corte la ratio del “bilanciamento” di essi, mentre la tesi della “polisistematicità” dell’ordinamento tributario elaborata dalla giurisprudenza costituzionale renderebbe arduo invocare la razionalità e coerenza dell’ordinamento giuridico. [Cfr. G. MELIS, op. cit, p. 323 ss., e p. 337 s. per alcuni esempi; Id., Sull”‘interpretazione antielusiva” in Benvenuto Griziotti e sul rapporto con la Scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni, in Riv. dir. trib. 2008, I, p. 413 ss. Ma come l’interpretazione adeguatrice va mantenuta nei limiti delle potenzialità espressive del testo delle norme di legge, così ai principi costituzionali dai quali essa deve essere guid6ata si farà riferimento per la parte che al giudice appaia abbastanza netta e univoca da poter essere con sicura coscienza assunta come parametro per risolvere la questione a lui sottoposta. Per quanto ampia sia la discrezionalità lasciata al legislatore dall’art. 53, 1°co. Cost., essa ha dei limiti che i giudici di merito sono perfettamente in grado di vedere e di utilizzare con saggezza nell’interpretazione. E più diffusamente essi faranno uso di questo nuovo compito, più facilmente quel principio assumerà, almeno nell’applicazione pratica, la chiarezza di contenuti che ci si attende dall’attività interpretativa, e di cui l’ordinamento ha bisogno per assicurare la funzione stessa del diritto tributario.
Prof. Avv. Roberto Schiavolin