Il giorno 29 luglio 2011, accompagnato dalla responsabile della segreteria organizzativa Petronela Vatavu, il segretario generale della C.U.G.I.T., Cav. Franco Antonio Pinardi, ha consegnato personalmente alla Presidenza della Repubblica, a quella del Senato, alla Camera dei Deputati, alla Presidenza del Consiglio e a tutti i deputati e senatori, l’allegata comunicazione in tema di urgente e improcrastinabile riforma della Giustizia Tributaria, una Giustizia che rischia, in virtù delle attuali proposte legislative, di diventare un mezzo teso ad appesantire la già difficile situazione del cittadino contribuente, vanificando, inoltre, 15 anni di sacrifici e positivi obiettivi che, di fatto, ne connotano l’attuale, seppur perfettibile, efficienza.

Auspichiamo la condivisione dei singoli ordini professionali, nonché degli organi di stampa e dei singoli signori Giudici tributari, al fine di scongiurare una “debacle” dalle conseguenze drasticamente imprevedibili.

Ufficio stampa della Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari C.U.G.I.T.

testo della lettera aperta:

LETTERA APERTA AI SIGNORI DEPUTATI E SENATORI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
RIFORMARE SERIAMENTE LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA

Egregio Onorevole, in ossequio all’articolo 1, 3 e 53 e della nostra Costituzione, le trasmetto questa breve nota sulla dovuta riforma della Giustizia Tributaria con il sincero auspicio che, dovendo Ella legiferare e vigilare in nome e per conto degli interessi del Popolo Italiano, ben rifletta su quanto sotto esposto, evitando così al nostro Paese giorni di sicura amarezza e ulteriore travaglio.

Con le recenti misure economiche il legislatore ha compromesso seriamente il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione) ed inoltre ha leso seriamente l’autonomia e l’indipendenza dei giudici tributari.

Infatti, con un primo intervento (D.L. n. 70/2011, convertito in legge n. 106/2011), ha reso esecutivo l’avviso di accertamento (a far data dal 1° ottobre 2011) e limitato a 180 giorni la pronuncia del giudice per la sospensiva, pena il pagamento immediato del terzo della maggiore imposta accertata, anche su semplice base presuntiva.

Con un secondo intervento (D.L. n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011), il legislatore ha riordinato parzialmente la giustizia tributaria modificando sensibilmente le ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 8 D.Lgs. n. 545/92.

Le Commissioni tributarie non devono fare cassa ma risolvere con competenza, equilibrio e serenità, senza pregiudizi, le controversie fiscali che insorgono tra l’Amministrazione Finanziaria ed i contribuenti, non solo nel rispetto delle norme ma anche con una corretta interpretazione giuridica delle stesse.

Il concetto di cui sopra è logico e naturale, in quanto un organo giurisdizionale (e tali sono le Commissioni tributarie) non solo deve essere, ma anche “apparire”, terzo ed imparziale nella definizione delle controversie tributarie e non ci deve essere alcun sospetto che le sentenze debbano tendere a fare cassa, nell’unico interesse del fisco, che è una delle parti in causa.

Eppure, questi elementari e chiari concetti, oggi, sono totalmente messi in discussione con la recente manovra economica che, tra le varie disposizioni, vuole riordinare (peraltro parzialmente) la giustizia tributaria con l’art. 39 del D.L. n. 98/2011 cit..

In definitiva, la suddetta disposizione vuole rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari nonché incrementare notevolmente la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato a riposo.

Di conseguenza, il legislatore, al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altresì imparzialità (!) e terzietà (!) del corpo giudicante, con il succitato art. 39, ha disposto che rientrano tra le cause assolute di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992:

le iscrizioni in albi professionali, elenchi e ruoli indicati nell’art. 12 del D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché il personale dipendente di cui al succitato art. 12; ciò indipendentemente dalla preventiva indagine sull’attività esercitata in materia fiscale (con possibili future eccezioni di incostituzionalità per irragionevolezza della norma ai sensi dell’art. 3 della Costituzione);

l’esercizio in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, della consulenza tributaria, della tenuta delle scritture contabili e della redazione dei bilanci, nonché l’attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo ed anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori;

i rapporti di coniugio, di convivenza (con quali prove?), di parentela fino al terzo grado o di affinità in primo grado di coloro che, iscritti in albi professionali, esercitano, anche in forma non individuale, le attività descritte nel precedente n. 2 nella regione dove ha sede la commissione tributaria e nelle regioni e province confinanti per quanto riguarda, rispettivamente, i giudici di secondo grado e di primo grado.

I giudici tributari che alla data di entrata in vigore del citato decreto legge versano nelle condizioni di incompatibilità devono comunicare la cessazione delle cause di incompatibilità entro il 31 dicembre 2011 al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, nonché alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.

In caso di mancata rimozione nel termine predetto delle cause di incompatibilità, i giudici tributari decadono automaticamente, con paralisi assoluta delle Commissioni tributarie.

Infine, per completare il riordino (parziale) della giustizia tributaria, il legislatore, sempre con il succitato art. 39, ha previsto:

un concorso per 960 posti presso le Commissioni tributarie, riservato, però, ai soli magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ed agli avvocati e procuratori dello Stato a riposo; tutti i suddetti soggetti,però, non devono prestare già servizio presso le attuali Commissioni tributarie;

i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 11 del T.U. II.DD. (DPR n. 917 del 22 dicembre 1986), e non saranno più tassati separatamente.

In particolare, a fronte di una generalizzata ed immotivata esclusione di tutti i professionisti iscritti ad un albo (avvocati, dottori commercialisti, consulenti del lavoro), si consente la partecipazione nei collegi giudicanti degli avvocati dello Stato a riposo e dei super – ispettori del fisco, compromettendo seriamente anche l’apparenza di terzietà ed imparzialità del giudice tributario.

Con le suddette modifiche, sinteticamente esposte, di fatto il legislatore ha reso difficile il diritto di difesa del contribuente che, con la riduzione drastica dei termini per le sospensive (180 giorni) nonché la paralisi certa della giustizia tributaria a seguito delle ipotesi di incompatibilità, difficilmente potrà evitare il pagamento delle maggiori imposte accertate, anche presuntivamente.

Le recenti riforme mettono seriamente in pericolo i principi di autonomia ed indipendenza della magistratura tributaria e ne travolgono l’attuale assetto in modo irrazionale ed incostituzionale.

In definitiva, con le attuali modifiche, potremmo avere collegi giudicanti composti da (elencazione non esaustiva):

magistrati militari;

magistrati contabili;

avvocati dello Stato a riposo;

ispettori tributari;

casalinghe con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da almeno due anni;

ufficiali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni;

pensionati;

imprenditori;

agenti di assicurazioni;

commercianti;

artigiani;

docenti scolastici;

magistrati onorari;

giudici di pace.

Bisogna tener conto che, attualmente, la composizione delle C.T. è del 23,9% di magistrati togati e del 76,1% di giudici non togati.

Infine, nelle Commissioni tributarie regionali i posti da conferire saranno attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali Commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero gli avvocati dello Stato a riposo.

Di conseguenza, su un totale di 3.731 giudici tributari al 31/12/2010, circa 3.000 giudici sono a rischio di decadenza, con la possibilità (se non certezza) di una totale paralisi della giustizia tributaria per molti anni (anche perché i 960 posti a concorso sono insufficienti a compensare le perdite). Oltretutto, in base a quanto previsto dal Decreto Ministeriale dell’11 aprile 2008, l’organico dei giudici tributari dovrebbe essere pari a 4.668.

La paralisi delle Commissioni tributarie coincide , peraltro, con l’entrata in vigore, dall’01/10/2011, delle norme sugli accertamenti esecutivi, dove la posizione del fisco è di fatto prevalente rispetto alla posizione del contribuente, stante le inevitabili difficoltà che esso incontrerà a causa della impossibilità di vedere trattata l’istanza di sospensione nel termine dei 180 giorni previsto dalla norma, a seguito della conversione in legge del Decreto Sviluppo n. 70 del 13/05/2011.

Pertanto, è necessario modificare drasticamente tale stato di fatto e, anche in prospettiva della generale riforma fiscale, è importante riformare totalmente e seriamente il processo tributario per consentire un efficace esercizio del diritto di difesa.

A tal proposito, i principi da rispettare sono i seguenti:

dipendenza delle Commissioni tributarie dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è una delle parti in causa ed ha interesse a non volere un “vero” processo dove il contribuente possa efficacemente difendersi, senza limitazioni, dinanzi ad un giudice terzo, indipendente ed imparziale, anche all’apparenza;

il giudice tributario deve essere a tempo pieno e con specifica competenza professionale, tenuto conto della difficoltà e particolarità della materia fiscale e non si può consentire, come oggi, che, per esempio, una semplice casalinga con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio presa da almeno due anni possa comporre un collegio giudicante;

il giudice tributario deve essere adeguatamente pagato e non umiliato, come oggi, con € 25 a sentenza depositata, pagati a distanza di anni e senza più tassazione separata;

le parti (pubbliche e private) devono essere poste sullo stesso piano processuale e senza limitazioni nella fase istruttoria, consentendo la citazione dei testi nonché il giuramento;

la norma deve prevedere la possibilità di conciliare anche in grado di appello, logicamente riparametrando le sanzioni, nonché la possibilità di ottenere le sospensive anche in grado di appello;

in definitiva, anche in prospettiva della riduzione dei riti processuali prevista dal novellato codice di procedura civile, il processo tributario deve essere disciplinato e gestito come un “vero” processo ordinario, con l’auspicio, peraltro, che possa essere inserito nella riforma della Costituzione.

Oggi, la strategia del Ministero dell’economia e delle finanze è quella di costringere il contribuente a pagare o conciliare senza dover ricorrere al giudice tributario; e, se proprio costretto, il contribuente rischia di trovarsi, con le recenti modifiche, dinanzi a giudici non indipendenti e non professionalmente competenti ed in aggiunta con sensibili limiti istruttori nella fase difensiva.

Le Commissioni tributarie non devono fare cassa a tutti i costi ma decidere con competenza, equilibrio ed indipendenza.

Ecco perché è necessaria ed urgente una vera e completa riforma strutturale della giustizia tributaria.

Cav. Franco Antonio Pinardi

Segretario Generale della Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari C.U.G.I.T.