L’Italia del 1861
(del generale Salvatore Santo Gallo)
Con immenso piacere, accogliendo l’invito del Presidente Di Pascale, desidero far pervenire questo mio intervento ad un così qualificato Convegno di fiamme gialle in questa Regione di Lombardia dove ho trascorso i primi dieci anni della mia lunga carriera, prima al Comando delle Tenenze di Porlezza e di Cernobbio e poi al Nucleo Regionale di polizia tributaria di Milano.
Ed è davvero singolare per me il fatto che ritorni sugli accadimenti del Risorgimento italiano a distanza di 10 lustri allorché io giovane tenente (siamo negli anni 50 del secolo scorso) ebbi l’incarico di accompagnare al Museo Storico del Risorgimento il personale del Nucleo per circa 2 mesi, scaglionato il sabato pomeriggio (allora vigeva l’impegno dell’istruzione del sabato per l’aggiornamento professionale).
E veniamo al tema che mi è stato affidato.
Il Primo Parlamento italiano si riunì a Torino il 18 febbraio 1861, ed il successivo 17 marzo 1861 approvò la legge con la quale venne ratificata l’unificazione del Regno d’Italia e così l’Italia, considerata sino ad allora soltanto un’entità geografica, divenne finalmente anche un’entità politica.
In quell’occasione, con una formula di evidente compromesso, l’Assemblea presieduta da Urbano Rattazzi e composta di 443 deputati attribuì al monarca la denominazione di “Vittorio Emanuele secondo re d’Italia per volontà della Nazione” volendo significare con quel “secondo” il carattere annessionistico dell’attuata unità avvenuta per merito dei Savoia e, con quel “per volontà della Nazione”, il carattere popolare e rivoluzionario dell’investitura data al re.
A quel tempo l’Italia contava 22 milioni di abitanti, con una superficie di 260 000 chilometri quadrati perché mancavano ancora il Lazio e il Veneto, facenti parte, rispettivamente, del Stato del Vaticano e dell’Impero austro-ungarico.
Insieme con il mancato compimento dell’unità territoriale non era stato portato a termine il compimento, più difficile e arduo, dell’unità civile e cioè amministrativa, militare, economica, sociale, morale e spirituale fra quelli che erano rimasti per secoli sudditi di ben sette stati diversi, unità che richiese sforzi e sacrifici notevoli nel corso degli anni successivi.
Quindi si presentò per prima l’esigenza di attuare una unificazione legislativa che tenesse conto delle consuetudini e degli ordinamenti degli stati preunitari.
Nel contempo si rese necessaria una riforma della legge elettorale che assicurasse un Parlamento rappresentativo veramente di tutto il regno, secondo quella proporzionalità che la legge allora in uso, strettamente basata sul censo dei cittadini, negava, si consideri che votava solo il 2 % dei cittadini e cioè 440.000 su 22 milioni di abitanti.
Col tempo il voto fu esteso anche ai cittadini meno abbienti purché avessero adempiuto agli obblighi di leva, ma per oltre 85 anni e cioè fino al 1946, fu negato alle donne.
Era poi necessario un nuovo ordinamento amministrativo, bisognava inoltre unificare la politica doganale e riorganizzare le forze armate (esercito e marina) e, nel contempo, dare avvio a una colossale attuazione di opere pubblicate: strade, ferrovie, ospedali e soprattutto scuole con un meridione che sopportava ben il 75% di analfabeti!
Si cominciò così con l’attuazione di un rigido accertamento amministrativo, pur se molto contestato (si pensi che a Bologna, molti professori, non vollero riconoscere il nuovo stato, ma Benedetto Croce ha definito l’ordinamento accentrato come il cemento dell’unità nazionale garantita da una burocrazia fornita di dignità morale assai maggiore al confronto degli impiegati dei Vecchi governi). Il regno fu diviso in 59 province e a capo di ciascuna di esse fu posto un prefetto di nomina regia, direttamente dipendente del Governo, (e di nomina governativa erano perfino i sindaci dei comuni!).
Si raggiunse il pareggio del bilancio per merito soprattutto del Ministro delle Finanze Quintino Sella, un ingegnere biellese e, come ebbe a scrivere uno storico, (ved. Bonanno, L’età contemporanea nella critica storica) “è fuori discussione che tutti i governanti di quel tempo non approfittarono di un soldo dello Stato né sfruttarono le loro cariche”.
Tra le varie realizzazioni dei primi Governi del Regno d’Italia mi piace ricordare prima di tutto i provvedimenti a favore delle Scuole. L’istruzione elementare fu resa obbligatoria e gratuita limitatamente alle classi elementari inferiori (prima, seconda e terza) mentre con la legge Coppino del 1879 venivano istituite le classi superiori (quarta e quinta) anche se poi, per realtà storica, è doveroso constatare che tale benefica legge restò per più anni lettera morta.
E ciò ho potuto rilevare direttamente dal “certificato di compimento del corso elementare”, delle Scuole Elementari comunali rilasciato a mio padre Gallo Carmine il 25 ottobre 1909, nel quale si legge “avendo il candidato ottenuto l’idoneità (con il punteggio di 8) in ciascuna materia di esame, fu dichiarato prosciolto”.
E ancora, alla fine negli anni ’30 del secolo scorso io ho potuto frequentare le scuole comunali fino alla 4° elementare perché la 5° mancava! (pensate che in quegli anni in Calabria si registrava il 92 % di analfabeti, compresi quelli “c.d. di ritorno”).
Comunque bisogna riconoscere che, una volta compiuta l’unificazione politica della Nazione italiana, i legislatori del Risorgimento si trovarono di fronte a difficoltà non lievi, non solo nella lotta al brigantaggio, ma anche quando vollero procedere all’unificazione legislativa considerata la pluralità di codici e leggi speciali esistenti negli stati preunitari. Ma grazie all’impegno notevole del Ministro Pisanelli nel 1865 furono emanati il codice civile e il codice commerciale, poi unificati in un unico codice civile nel 1942, tuttora in vigore.
Il codice civile del 1865 è stato il primo codice civile dell’Italia unificata dal Risorgimento venendo dopo il codice civile napoleonico del 1805 e i codici civili preunitari che ne sono stati la fonte principale. Il codice di commercio del 1865 che aveva trovato la sua fonte nel corrispondente codice francese del 1807 e in quello albertino del 1842, fu poi rielaborato nel 1882, contenendo anche un apposito libro, il secondo, dedicato al commercio marittimo della navigazione.
Contemporaneamente al codice civile fu promulgato nel 1865 il codice di procedura civile che, al pari del primo, entrò in vigore il 1° Gennaio 1866.
Quanto al diritto penale, col formarsi dell’Unità d’Italia, venne esteso a tutto il Regno il codice penale sardo del 1859, ma nel 1889 fu promulgato un nuovo codice penale che andò sotto il nome del Ministro proponente Zanardelli (quello cui fu dedicata la canzone “Torna a Surriento”), poi sostituito nel 1930 dal codice Rocco tuttora in vigore … Il codice Zanardelli, come ebbe a scrivere il prof. Ugo Pioletti, alto magistrato e insegnante nell’Accademia della Guardia di Finanza, rappresenta un’opera giuridica che non solo realizzò un grandioso progresso rispetto a tutte le legislazioni fino allora vigenti, ma con la sua valida struttura fornì le basi al codice vigente”.
Il diritto processuale penale venne disciplinato con il codice sardo – italiano del 1859 – 1865, di tipo francese, poi abrogato con la pubblicazione del codice di procedura penale del 1913 che pertanto deve considerarsi il primo codice di procedura penale veramente italiano. A questo seguirono il c.p.p. del 1930 a da ultimo quello del 1989 tuttora in vigore.
In quello stesso anno 1865 fu varato un primo codice della navigazione poi sostituito nel 1877 e rimasto fino al 1942 quando entrò in vigore contemporaneamente agli altri codici.
Né fu trascurato in quei primi anni dell’Unificazione il diritto penale militare in quanto il codice penale militare sardo del 1859 divenne il codice del regio esercito italiano e il regio editto piemontese del 1826 divenne la legge penale militare della regia marina italiana. E benché detti codici militari fossero ricchi di notevoli pregi addimostratisi, specialmente durante la prima guerra mondiale, si sentì fin dal 1889 il bisogno di riformarli, il che poté essere realizzato però solo nel 1941 con l’emanazione di due codici penali militari, rispettivamente, di pace e di guerra.
Da ultimo vanno ricordate le varie leggi sull’unificazione amministrativa che furono promulgate con l’unico decreto 20 marzo 1865, n. 2248 con i suoi 6 allegati, numerosi principi di diritto amministrativo tuttora in buona parte validi.
Ma non meno significativo fu l’impegno profuso dai legislatori di quei primi anni dell’unità d’Italia per realizzare l’unificazione della legislazione finanziaria. A tal fine fu unificata l’Amministrazione del Debito pubblico, fu istituita la Corte dei Conti, venne varata una legge unica per la contabilità, si cercò di raggiungere il pareggio del bilancio e si procedette all’unificazione della legislazione tributaria cercando nello stesso tempo di migliorarla e renderla più fruttuosa per lo Stato, incominciando da un’accurata riforma del Catasto. Basti considerare che secondo uno studio da me svolto e pubblicato sulla Rivista del Corpo della G. di F., al tempo della proclamazione dell’unità d’Italia erano in vigore ben 25 catasti, tutti diversi tra loro, alcuni geometrici ed in parte senza mappe, altri descrittivi, alcuni particellari, altri con l’estimo basato sulla rendita o valore capitale. Nella sola Toscana esistevano 4 diversi tipi di catasto e uno di essi, quello dell’Isola del Giglio, formato nel 1845 al solo fine di riconoscere il diritto elettorale dei possessori di fondo basato sulla sola denuncia degli stessi interessati e senza alcun rilevamento!
Per sanare il disavanzo finanziario furono venduti beni demaniali e fu disposto il passaggio allo Stato dei beni ecclesiastici confiscati alla Chiesa e nel contempo furono riordinati i dazi di consumo, il gioco del lotto, i monopoli del sale e dei tabacchi ed il servizio doganale. Tra l’altro, dopo alterne vicende parlamentari, fu varata la legge 13 marzo 1862, n. 616 con la quale venne costituito il Corpo delle Guardie doganali.
Questa legge ricostruì su nuove ed uniformi basi un Corpo di polizia doganale, militarizzato, comprendente circa 14 000 uomini, deputato principalmente alla tutela delle imposte di confine e delle privativi fiscali e capace di concorrere in tempo di guerra alla difesa del Paese.
Negli anni successivi dal 1862 al 1922 furono emanate ben 37 leggi o atti equiparati sull’ordinamento della Guardia prima doganale e poi di Finanza e 121 decreti reali.
Dapprima questo corpo di polizia doganale fu inquadrato nella Direzione generale delle gabelle del Ministero delle Finanze ed assoggettato ad un regime giuridico speciale, sostanzialmente di carattere civile, ma ricettivo di singole norme dello status militare e di aspetti formali militari. Poi con R.D. 8 aprile 1881, n. 149 il Corpo venne denominato “Corpo delle Guardie di Finanze” ed assunse la veste di polizia finanziaria (e non più soltanto doganale) con una più accentuata organizzazione militare.
Dieci anni dopo con la legge 14 luglio 1891, n. 398 essa assunse la denominazione attuale di “Corpo della Guardia di Finanza”.
E proprio in quell’anno 1891 la qualifica di polizia giudiziaria, che fin dall’inizio era stata riconosciuta agli Ufficiali del Corpo, venne attribuita anche ai sottufficiali con grado di maresciallo.
Poi, grazie soprattutto all’impegno del Gen. Tullo Masi, venne varata la legge 19 luglio 1906, n. 367 instauratrice di un indirizzo nuovo che trovava l’espressione più importante nell’organizzazione sotto un Comando dipendente del Ministro delle Finanze e nell’ampia sfera di soggezione del personale alla legge penale militare ed alla disciplina militare, rafforzatasi con il decreto dell’anno successivo n. 556 del 14 luglio col quale fu esteso ai finanzieri l’uso delle stellette a 5 punte sull’uniforme militare che per gli appartenenti al Corpo significava anche l’obbligo di concorrere alle operazioni di guerra. E ancora con l’allegato D) alla legge 12 luglio 1908 fu esteso al Corpo il Regolamento di disciplina militare e con il decreto 2 giugno 1911 fu concessa la Bandiera di Guerra.
Negli anni venti, vennero istituite anche la Scuola Alpina di Predazzo, la Scuola Nautica, prima a Pola (dove ne fu prestigioso Comandante l’allora Ten. Rossi poi divenuto famoso scrittore di romanzi marinareschi) e poi a Gaeta, e risale al 1925 l’istituzione della Banda Musicale.
Intanto era nato a Napoli nel 1906 il movimento associativo con l’Associazione federale dei finanzieri italiani che ebbe però vita breve. Subito dopo nacque la sezione di Luino che rappresentò la prima organizzazione efficiente realizzata dai finanzieri in congedo, seguita da quelle di Genova nel 1907 e di Torino e Livorno nel 1910.
Si arriva così al 1923, anno ricco di portenti, in cui fu approvato un nuovo ordinamento del Corpo, fu istituita la polizia tributaria investigativa, vero fiore all’occhiello della Guardia di Finanza e fu varata una complessa riforma tributaria con una imponente normativa riguardante numerosi tributi, quali le tasse di registro, di successione, di bollo, sugli scambi, etc., e nel 1929, vide la luce, la famosa Legge 7.1.1929 nr. 4 che attribuì notevoli poteri alla polizia tributaria.
E l’attività di polizia tributaria venne valorizzata ulteriormente sul piano pratico grazie soprattutto agli insegnamenti di appassionati cultori della materia fra i quali voglio ricordare il generale Angelo Dus, poi divenuto Com.te in 2^, Vincenzo Tanca e Adolfo Palermo, che in Milano furono rispettivamente Com.te della zona e del Nucleo Regionale, e Donato Azzarone.
Ma questa è ormai storia di nostri giorni. Dopo questo lunga panoramica legislativa occorre ricordare che dal 1848 al 1949 la legge fondamentale dello Stato italiano, la c.d. “Magna Charta” è rimasto lo Statuto Albertino sicché dobbiamo riconoscere che a partire dall’unità d’Italia e fino all’entrata in vigore della costituzione repubblicana nel nostro Paese non vi è stato alcun avvenimento di rilevanza costituzionale che non si sia richiamato allo Statuto varato il 4 marzo 1848 da Carlo Alberto (allora “re per grazia di Dio” mentre Vittorio Emanuele II lo fu “per volontà della Nazione”). E infatti dallo Statuto Albertino sono derivate grandi cose, come l’unità nazionale, un sistema di governo parlamentare, la collocazione dell’Italia nel concerto delle Potenze Europee.
Concludo.
Quando il Ministro Sella volle realizzare il pareggio del bilancio fra gli altri provvedimenti ritenenti necessari alla bisogna chiese anche una sostanziale riduzione delle spese previste per i deputati, al che un suo collega obiettò: Non ne vale la pena, perché il risparmio è davvero poco! E Sella rispose: Quello che tu dici è vero, ma è importante dare l’ESEMPIO. Appunto l’Esempio che le fiamme gialle della nostra generazione hanno saputo dare nel corso degli anni e sono certo che anche le nuove generazioni continueranno a dare ai propri successori esempi luminosi di attaccamento al dovere di fiamma gialla e di amore per la Patria.