a cura del Dr. Prof. Gen. Salvatore Santo Gallo

“I giudici dovrebbero ricordarsi che loro compito è quello di «jus dicere» e non quello di «jus dare»: essi dovrebbero cioè interpretare la norma, e non fare o emanare le leggi. Altrimenti avverrà come per l’autorità conclamata della Chie­sa di Roma che, col pretesto di commentare le Sacre Scrittu­re, non si fa scrupolo di fare delle aggiunte o delle alterazioni, e afferma ciò che non esiste, e, con la scusa dell’antichità, introduce le novità.

Il giudice dovrebbe essere più dotto che sottile, più rispetto­so che esageratamente gentile, più prudente che presuntuoso nel decidere.

L’indipendenza è, più di ogni altra cosa, sua caratteristica e sua virtù precipua. «Maledetto sia, dice la legge, colui che sposta la pietra del confine»: infatti costui è sempre da biasimare. E giudice ingiusto è quegli che modifica i confini quando, controvertendosi in materia di proprietà fondiaria, dia una sentenza sbagliata. Ed invero una sentenza data in mala fede, nuoce più che non molti altri esempi di slealtà, poiché mentre questi inquinano solo i ruscelli, quello addi­rittura la sorgente. E cosi dice Salomone: «Una fonte intor­bidita e una sorgente inquinata è il giusto che si piega da­vanti all’empio».

Il giudice può avere rapporti sia con le parti che promuovo­no la lite, sia con gli avvocati che la difendono, sia con i cancellieri e gli ausiliari che sono al di sotto di lui, sia, in­fine, col re o con lo stato che è al disopra.

La pazienza e la gravità nell’ascoltare le discussioni degli av­vocati, sono la parte essenziale dei giudizio: il giudice che troppo spesso interrompe è come uno strumento non certo bene accordato. Né è giustificato il giudice che abbia risolto un aspetto della questione.

D’altra parte l’avvocato, in tribunale, non si metta a discu­tere col giudice, né si permetta di tornare su una questione sulla quale egli si sia pronunciato.

Dal canto suo, però, il giudice non studi una causa solo a metà, né offra alla parte occasione di dire che il suo avvocato e le sue prove non furono ascoltate.”

Il brano è tratto dal “saggio sul giudice”.

All’origine del saggio è la controversia tra Bacone (allora Attorney General) e Sir Edward Coke il quale sosteneva, da un lato, la supremazia della Common Law anche sulla volontà regia e dall’altro l’essenza suprema della potestà del giudice che non può essere sminuita dall’intervento del Sovrano. Bacone, invece, riteneva che i giudici e il re potessero e dovessero consigliarsi a vicenda. Ed infatti, nel 1615 nella causa contro Peacham fu proprio Bacone che, per incarico di Giacomo I sentì il parere dei singoli giudici, sollevando le ire di Coke il quale sosteneva che i giudici non possono essere consultati se non collegialmente. Bacone si vendicò di questa netta presa di posizione che suonava critica alla sua azione e fece arrestare Coke.

Sir Francis Bacon
Londra 22 gennaio 1561 – Londra 9 aprile 1626