Scritto da Eloisa Covelli
Martedì 11 Dicembre 2012
Se Montesquieu avesse visto i nostri giudici del fisco si sarebbe messo le mani nei capelli. La teoria della separazione dei poteri non conta nulla nella giustizia tributaria italiana. I giudici che decidono dei nostri ricorsi contro Equitalia e l’Agenzia delle Entrate sono infatti dei dipendenti del ministero dell’Economia e delle Finanze, come gli stessi “esattori”. Fanno i giudici part-time, la maggior parte di questi lo fa come secondo lavoro. Ma persino un presidente di commissione non ha potere sui suoi amministrativi, che rispondono solo al capo supremo, il ministero.
CALIENDO SUPERSTAR – Dici giudici tributari e scrivi Giacomo Caliendo. L’ex sottosegretario alla Giustizia, coinvolto nell’inchiesta sulla P3 (la cui posizione è stata archiviata), è infatti il principale sponsor della categoria. Nelle commissioni tributarie (è questo l’infelice nome dei tribunali del fisco) tutti lo ricordano quando era a capo dell’Associazione Magistrati Tributari, il sindacato più rappresentativo. Nel parlamento siedono due illustri ex, Donatella Ferranti del Pd (che sta nella commissione Giustizia) e Felice Belisario, capo dei senatori dell’Idv, cui però i loro ex colleghi rimproverano di essersi dimenticati delle istanze della categoria. I giudici tributari infatti sono figli di un dio minore. La loro carica è solo onoraria. E non sono tutti togati, anche se la professione sta cambiando. Gestiscono un potere enorme, ma la paga non è al pari delle altre caste.
QUANTO GUADAGNANO – I giudici tributari sono giudici a cottimo. Guadagnano in base a quanto lavorano. Al fisso mensile di poche centinaia di euro, si aggiunge una parte variabile a deposito della sentenza (circa 25 euro) più una proporzionale all’ammontare della causa discussa. La maggior parte di loro sta sotto i mille euro al mese, un gruzzoletto che però si aggiunge a un altro lavoro. I primi presidenti, invece, hanno delle paghe di tutto rispetto (ma non possono superare i 70mila euro annui). La categoria è un bric-à-brac di professioni. Secondo gli ultimi dati ufficiali del 2010 per il 22 per cento sono magistrati ordinari, il 19 per cento è un pensionato, il 17 per cento un avvocato, quasi l’8 per cento un commercialista. Ma ci sono anche ragionieri e geometri, architetti e ingegneri, notai, dipendenti pubblici, docenti. E persino un medico e un paio di giornalisti.
COME FUNZIONA – Il processo è solo documentale. C’è un primo grado, composto dalle commissioni provinciali (che al di là del nome sono dei veri e propri organi giurisdizionali), un appello, ovvero le commissioni regionali. E l’ultimo grado è la Cassazione con le sezioni specializzate. Essendo giudici onorari e dipendendo dal Mef, la loro “busta paga” non arriva puntualmente. Solo in questi giorni – ci riferiscono alcuni – hanno ricevuto l’arretrato del 2011, mentre il ministero ha pagato prima gli “stipendi” del 2012.
CORSA AL POSTO – Nonostante la paga non sia così attraente, c’è una corsa a diventare giudici tributari, a giudicare dall’ultimo concorso dove 2.500 persone sono accorse per accaparrarsi un posto. Il potere e il prestigio della categoria sono infatti innegabili. A loro spetta il compito di cancellare le multe di chi evade il fisco, multe che possono avere anche parecchi zeri. Nell’ultimo concorso c’è stata un’infornata di toghe. Il ministero, in disaccordo con il Consiglio di Presidenza (una sorta di Csm della tributaria), ha rivolto il concorso per titoli solo ai magistrati di carriera. Vista la carenza di personale (3.721 unità al 31 dicembre 2010), oltre ai 960 posti in palio, verranno gradualmente inseriti i 1.500 risultati idonei. Questo concorso cambierà il volto dei giudici del fisco, che diventeranno per il 50 per cento togati nelle commissioni provinciali e per i 2/3 in quelle regionali. Il che ha creato molti mal di pancia tra i non togati in servizio, che già si vedono sbarrata la carriera di presidente di commissione.
SENZA UNA TOGA – Ma avere una toga significa essere più bravi? Ovviamente i magistrati di carriera sostengono di sì, non sono d’accordo invece i loro omologhi senza toga. Che rivendicano un’esperienza nel settore superiore ai magistrati di professione. E’ vero che tra i non togati si sono annidate le mele marce degli ultimi scandali. A Napoli a marzo scorso sono stati scovati sedici giudici a servizio dei clan. Pasqualino Lombardi, che con le sue telefonate intercettate ha fatto scoppiare lo scandalo P3, era un giudice non togato, che gestiva un centro studi per gli aggiornamenti di cui questa categoria ha un bisogno continuo.
POVERO CONTRIBUENTE – Le norme sul fisco sono molto complesse e cambiano in continuazione. A leggere l’ultima relazione annuale del garante del contribuente per la Regione Puglia, Salvatore Paracampo, con esperienza quarantennale nel settore, non c’è da stare tranquilli. Le norme del fisco, a suo dire, non sono né chiare né intellegibili. Lo Statuto del contribuente (la legge che dovrebbe tutelarlo) è diventato «un formaggio svizzero». «Consegue – scrive Paracampo nella sua relazione del 2011 – che un contribuente onesto ed in buona fede, che volesse iniziare un approccio per la comprensione delle norme, avvertirebbe uno stato di gran disagio e preoccupazione, se non di reazione, che si placa solo in parte con il ricorso al tecnico, il quale peraltro trova innanzitutto grave difficoltà nell’assemblare i frammenti di una norma disseminati in diverse leggi e poi imbarazzo per comprendere l’esatta portata della norma così ricostruita».
VINCE LO STATO – Ma chi vince in questa lotta impari tra Stato e contribuente? Negli anni addietro le commissioni tributarie davano molto spesso torto alla pubblica amministrazione. Adesso invece è l’opposto. A guardare gli ultimi dati ufficiali del 2010 la p.a. soccombe solo nel 31 per cento degli appelli depositati dal contribuente. E quella che perde meno è proprio Equitalia (27,7 per cento). Mentre la peggiore è l’Agenzia del territorio (43 per cento di sconfitte). La decisione poi non arriva così velocemente. I tempi medi per il deposito di una decisione sono due mesi, che arrivano a 131 giorni nella commissione regionale della Basilicata (la più lenta) e scendono a 31 nella commissione della Valle d’Aosta. Alla fine del 2010 gli appelli pendenti nelle commissioni regionali erano quasi 118mila. La maglia nera è andata proprio alla Campania (17.448), seguita a ruota da Sicilia (17.435), Calabria (13.749) e Lazio (12.421). In attesa delle decisione, non c’è la sospensione automatica della tassa controversa, mentre si paga per presentare il ricorso. Il “contributo unificato” da versare varia in base all’ammontare della causa. E’ di 30 euro per controversie fino a circa 2.500 euro. Arriva a 1.500 per multe sopra i 200mila euro. A questo si deve aggiungere il costo del difensore. Se fino a 2.582,28 euro non c’è bisogno di un’assistenza, oltre questa cifra bisogna pagare anche un avvocato, un commercialista, un ragioniere o un perito commerciale. Insomma qualcuno che perori la causa contro la macchina del fisco.
*dal settimanale n. 49
(FONTE: ilpuntontc.com)