Intervento di Franco Antonio Pinardi al convegno: “DIRITTO DELL’IMMIGRAZIONE E RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE” Torino, Educatorio della provvidenza, 25 gennaio 2013

Nel porgere i più cordiali saluti alle gentili signore e signori qui convenuti, desidero ringraziare l’amico Avvocato Mario Pavone per avermi voluto quale relatore in questo importante e qualificato convegno. Il tema assegnatomi è quello della fiscalità delle imprese straniere in Italia. Prima di cominciare però, lasciatemi facoltà di ringraziare, per il prezioso supporto fornito alla presente relazione, il dr. Tuvè, uno dei massimi esperti del mondo doganale dove ha prestato servizio, all’Agenzia delle Dogane, per oltre quaranta anni maturando una esperienza ed una conoscenza della materia difficilmente replicabili e il dr. De Vito, già dirigente dell’Agenzia dell’Entrate quale capo settore accertamento della DRE Lombardia poi passato al  SECIT – Servizio Centrale Ispettivo del Ministero delle Finanze e, attualmente, consulente (esterno) della Commissione Parlamentare di Vigilanza sull’Anagrafe Tributaria.

Spero che mi perdonerete se userò toni non squisitamente accademici e se, come sicuramente succederà, scivolerò in giudizi giuridici e di legalità non prettamente fiscali, ma la mia dedizione e attaccamento alla buona Giustizia e ai comuni diritti, è tale per cui mi è quasi impossibile farne a meno. Spero anche nella vostra generosa indulgenza se la mia non sarà una relazione rigorosamente tecnica, ma credo non serva a nessuno che io snoccioli norme e cifre di assoluta proprietà dei vostri consulenti fiscali, anche perché, di grandi novità, differenze o opportunità per le imprese straniere, nel nostro paese, ve ne sono ben poche fatta eccezione per alcune agevolazioni dedicate, a mezzo di appositi bandi a carattere regionale e comunale (vedi Regioni: Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Comune di Roma).

Credo sia più opportuno approfittare di questa sede e di questa qualificata platea, per “alzare la voce” sui nostri diritti, su quei diritti troppo spesso violati da leggi e norme che, invece di favorire lo sviluppo e la crescita, ci stanno sempre più annegando nell’infinito mare della burocrazia.

Veniamo quindi allo spinoso tema affidatomi. Spinoso perché quando si parla di fisco e tributi, soprattutto nell’ultimo biennio, non possiamo non evidenziare un generale malessere e profondo  malumore per la quanto mai deprecabile oppressione legislativa posta in essere dai nostri politici e governanti i quali sembra abbiano perso di vista, o peggio travisato, quanto recitato nei principi fondamentali della nostra carta costituzionale che, se me lo consentite, vorrei proprio prendere ad uso e indirizzo per il tema affidatomi.

Consideriamo quindi il termine di aziende straniere, dove, gli organizzatori dell’odierno incontro, intendevano indicare le imprese costituite in Italia da lavoratori provenienti da altri paesi.

L’Art. 1 della nostra Costituzione così recita: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro e ancora, all’Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Su questi primi due articoli sarebbe interessante chiarire che cosa hanno inteso ed intendono i nostri legislatori per lavoro e per promozione dello stesso, visto che, per come lo intendiamo noi semplici umani, lavoro, dovrebbe essere quella funzione che viene esercitata dall’individuo per il sostentamento e benessere del proprio nucleo famigliare, nonché per la positiva, implicita, crescita e miglioramento della società in cui egli si esprime e, ancora, come recitato dai nostri dizionari, il lavoro è indicato come : “Impiego di un’energia per raggiungere uno scopo determinato”. Ma se questa energia impiegata e molto spesso faticosamente spesa, viene continuamente deviata, ostacolata, intralciata, osteggiata, boicottata da leggi, norme e codicilli che, invece di semplificarne la realizzazione, creano vere e proprie barriere spesso insormontabili, ditemi voi come possiamo sperare in una positiva crescita dell’occupazione e quindi del lavoro. Lavoro che per le imprese gestite da stranieri nel nostro Paese, in  numero di 454 mila, produce quasi 76 miliardi di euro, pari al 5,5% dell’intera ricchezza prodotta a livello nazionale. Il più alto contributo degli immigrati alla produzione di valore aggiunto si esprime maggiormente nell’edilizia che rappresenta il 13,8% di tutta la ricchezza creata dal settore. Segue a ruota il comparto del commercio (con il 10,1% della produzione complessiva), la manifattura (6,6%) e i servizi alle persone (6,3%). Ora se analizziamo questo importante dato verrebbe da pensare, riallacciandomi alle considerazioni in tema di significato etimologico e reale della parola lavoro, che un paese con istituzioni intelligenti e votate al reale progresso sociale dovrebbe facilitare coloro che sono portatori di ricchezza, invece, ahimè, non è proprio così. In primo luogo mi riferisco alla percentuale di tassazione a cui oggi siamo tutti sottoposti che, dalle stime ufficiali, si attesta sul 45,1% del Pil, ma, secondo quando dichiarato dal Sole 24 Ore di alcuni giorni fa, la pressione fiscale per i contribuenti che dichiarano, si attesta ben al di sopra del 55%, ponendoci al primo posto nel mondo davanti a Belgio 48% e Svezia 46/47%. Un primato così negativo, anche se non sono un professore della Bocconi, sicuramente non invoglia, ne facilita, gli investimenti esteri ne, tantomeno, chi vuole venire a costruire il proprio futuro e la propria stabilità in Italia. Quanto sopra riportato è stato ribadito da una approfondita indagine operata dall’osservatorio della PMI, secondo il quale le tasse alle imprese in Italia sono tra le più care del mondo perché, tra quelle e sugli utili d’impresa e le imposte sul lavoro, l’Italia arriva a un’imposizione fiscale del 68,3% sui profitti, con 269 ore l’anno per gli adempimenti burocratici collocandoci al 131esimo posto nella classifica mondiale sulla tassazione delle imprese. Dato rilevato nell’annuale report PriceWaterhouseCoopers, (network distribuito in 158 Paesi con oltre 169.000 professionisti, che fornisce servizi professionali di revisione di bilancio, advisory e consulenza legale e fiscale alla pari di Ernst & Young, Deloitte & Touche e KPMG) che analizza le norme fiscali di 185 paesi del mondo collocandoci dietro tutte le economie europee tranne la Romania. Il carico fiscale complessivo (tasse sugli utili, sul lavoro e altri oneri), si mangia in Italia il 68,3% dei profitti dell’azienda mentre la media europea è del 42,6%. Contemplando i diversi indicatori (adempimenti fiscali annui, tempo speso per portarli a termine) adempimenti burocratici per cui l’impresa perde mediamente 269 ore l’anno. Il 68,3% di pressione fiscale complessiva si distribuisce nel seguente modo: le tasse sugli utili d’impresa sono al 22,9%, quelle sul lavoro il 43,4% (la voce più pesante, di gran lunga), mentre ci sono altri adempimenti che portano via un ulteriore 2% di utile. Secondo quanto si qui riportato, a buona ragione possiamo dire, che la complessità amministrativa del sistemane fiscale è inversamente proporzionale rispetto ad un positivo fattore di crescita, crescita che si concretizza quindi mediante una decisa riduzione dei vincoli amministrativi. Dobbiamo quindi ricercare, con estrema decisone, la stabilità del quadro normativo fiscale, tenuto conto che, se si continuano a cambiare in itinere le regole, bisogna anche dare alle imprese un maggior tempo per metabolizzarle, senza però gravarle con pesanti e repressive sanzioni. Altro aspetto che non va dimenticato è la “certezza del diritto” che si esplicita anche a mezzo della tempestività delle risposte della P.A. (Pubblica Amministrazione)………..A questo punto lasciatemi affermare che laddove non esiste Giustizia, laddove non esiste “certezza del diritto”, la non vi è democrazia. Desidero fare questo breve excursus tutt’altro che secondario sulla reale democraticità di alcuni provvedimenti e norme, fiscali che contravvengono in pieno alle garanzie altresì previste dal dettato costituzionale…. Mi riferisco principalmente al diritto di difesa rispetto alle pretese del fisco, o ai suoi errori, come nel ripetuto caso delle cartelle pazze. Premetto che un fisco corretto e costituzionalmente diligente, dovrebbe aiutare, affiancare le imprese e gli imprenditori con un legislazione chiara, con norme semplici e di facile attuazione che agevolino il principio dell’adesione fiscale in piena attinenza a quanto recitato dall’Art. 53: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. E’ quindi oggi più che mai indispensabile ridurre drasticamente gli adempimenti fiscali e previdenziali, tenuto conto dell’alto numero di pagamenti a cui è sottoposto “obtorto collo” il contribuente: dal canone Rai all’Imu. Tenete presente che, secondo una indagine  KRLS Network of Business Ethics, il fisco lunare nel 2012 è costato 24,8 miliardi all’anno ai Contribuenti Italiani titolari di partita iva, +3,7 MLD rispetto al 2011, quando gli adempimenti viaggiavano intorno ai 21,1 MLD. Questo il costo complessivo annuo sostenuto, nel 2012, mediamente quattro volte di quanto pagano i francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli. Una “tassa occulta” che prende in considerazione tutti i costi per la compilazione della dichiarazione dei redditi, IVA e sostituti d’imposta, degli studi di settore, del calcolo del redditometro, dello spesometro, comunicazioni operazioni IVA, del disbrigo delle pratiche fiscali, del costo per l’acquisto dei software fiscali, della tenuta della contabilità, della trasmissione telematica, della gestione dei crediti fiscali e degli avvisi bonari, delle istanze in autotutela, del contenzioso tributario, degli adempimenti per la privacy e per l’antiriciclaggio e della formazione del personale per gli adempimenti in materia contabile e fiscale. A questo punto possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che nel nostro Paese, anche in ragione delle sole esigenze di cassa per l’inesauribile sperpero politico istituzionale, il cittadino contribuente è costretto al pagamento di tasse reali su redditi assolutamente virtuali, calcolati con strumenti e sistemi in netta contraddizione con quanto recitato dall’art. 53 rispetto alla reale capacità contributiva. Sono talmente imperanti l’ansia e il dovere di cassa, che siamo arrivati, con la silente complicità di tutti gli organismi deputati alla difesa del contribuente, all’emanazione della norma secondo cui, entro il limite dei 20.000 euro, il contribuente non può fare il debito ricorso alla giustizia tributaria  onde rivendicare i propri diritti, prima di avere esperito un obbligatorio tentativo di conciliazione…e indovinate con chi?, proprio con chi ha originato la lite, è cioè con l’Agenzia delle Entrate che è parte in causa, avendo emesso l’avviso di accertamento.

Ora, autorevoli amici mi hanno detto che visto il mio ruolo, non dovrei appesantire la già difficile situazione, perché certe cose non si dicono – ma, dato che come voi, ritengo essere la misura ormai colma, lasciate che vi dica che la tanto agognata semplificazione o de burocratizzazione passa anche per l’eliminazione di migliaia di posti di lavoro : notai professionisti, quotidiani e stampa specializzata ecc. ecc., questo è uno dei motivi per cui non si procede in tal senso! Vogliamo fare un esempio concreto di queste aberrazioni normative? Mentre in Austria una impresa si apre in 4 giorni, in Italia per aprire una società bisogna sottoporsi a una infinita serie di adempimenti burocratici che richiedono, se va tutto bene, sei mesi di, reale, infruttifero investimento all’imprenditore. Quindi, dato anche il periodo per le promesse elettorali, facciamoci parte diligente onde suggerire, ai nostri governanti, una soluzione a questo annoso problema: chi vuole fare impresa deve produrre due primari documenti – il certificato penale e una attestazione da cui non risultino pendenze con l’erario, poi, tutto il resto, mentre l’azienda produce reddito, si potrà  produrre in itinere. Altro  aspetto che vorrei con voi analizzare è, oltre alla convenienza in termini di pressione fiscale, la convenienza in termini di imposizione presente nei paesi dell’UE. Credo sia davvero difficile pensare a una competizione realmente democratica in termini commerciali quando i paesi appunto dell’area UE hanno diverse legislazioni fiscali, diverse imposizioni, diverse aliquote. Tutto ciò impone una seria riflessione circa l’urgenza di armonizzare nell’UE tutti i sistemi fiscali al fine di rendere ugualmente competitive le aziende che operano in questi stati. Volendo, quindi, essere propositivi, cosa fare per agevolare coloro che hanno deciso di adottare il nostro paese quale stabile dimora sociale e lavorativa? In primo luogo credo sia doveroso meglio regolamentare gli ingressi nel nostro paese, con regole di soggiorno residenza e nazionalità che facilitino coloro che desiderino venire in Italia e non, come è accaduto sino a ieri, voglio essere ottimista, con disposizioni paradossali come quella che imponeva che per avere il permesso di soggiorno bisognava avere la residenza e per avere la residenza bisognava avere il permesso di soggiorno! In secondo luogo, come precedentemente accennato, dovremmo porre maggior attenzione alla armonizzazione della fiscalità in EU, perché solo con una reale simmetria fiscale che stabilisca sistemi omogenei nei diversi paesi, si potranno realmente combattere fenomeni di evasione come, ad es, la frode carosello, meglio conosciuta come triangolazione dell’IVA che consente a “imprenditori” scaltri di competere in maniera scorretta nel mercato con pesanti danni per l’erario. Ulteriore aspetto da non sottovalutare è quello concernente la circolazione delle merci, anche per via del naturale interscambio che deriva della permanenza di persone con altre culture commerciali, tradizioni anche alimentari ecc. ecc. nel nostro paese. In proposito nell’attuale dinamica degli scambi mondiali, una posizione geografica favorevole non è sufficiente, da sola, per attrarre e sviluppare flussi commerciali, se questo asset naturale non è sostenuto da procedure di controllo mirate ed efficaci. Le inefficienze ascrivibili a tali aspetti provocano una dilatazione dei tempi di sosta delle merci nelle strutture portuali, aeroportuali, interportuali e producono costi aggiuntivi a carico delle imprese importatrici ed esportatrici italiane, con ingente dispendio di risorse economiche e perdita di competitività nei confronti dei nostri partner europei, oltre a non consentire agli operatori logistici mondiali di avere certezze nei tempi di trasporto. Il costo di tale inefficienza è stato quantificato in almeno 2 miliardi di euro (ma se consideriamo i traffici persi a favore dei porti del Nord Europa supereremmo i 5 miliardi di Euro), in termini di movimentazioni all’interno dei terminal, di costi di carico e scarico, di ulteriori spese di stoccaggio delle merci, con incrementi di costi di trasporto, assicurativi e bancari generati dai ritardi nello svincolo delle merci. Basti pensare che in Italia, a differenza di altri paesi dell’Unione, esistono ben 18 organismi controllori che, spesso, si sovrappongono nei relativi interventi: come testimoniato dall’indagine “Doing Business” della Banca Mondiale, ci troviamo così agli ultimi posti nella classifica dei Paesi UE di efficienza delle procedure transfrontaliere. Questa situazione induce, infatti, molti operatori logistici e commerciali italiani a spostare parte delle loro attività operative in altri Paesi dell’UE meglio organizzati sotto il profilo amministrativo-procedurale. Il fenomeno della distorsione di traffico verso altri Stati membri dell’UE (nordeuropei e confinanti) rappresenterebbe, secondo alcune stime, circa il 30% del totale dei traffici destinati al bacino di utenza del nostro paese.

Questo fenomeno è stato.. “pensate”.. però negato dal Sottosegretario Vieri Ceriani durante i lavori della VI Commissione Finanze del 5 dicembre 2012 – documentazione che rassegno alla presidenza per opportuna conoscenza e divulgazione…i nostri così detti tecnici…

Se le suddette operazioni rimanessero radicate nel territorio italiano, con conseguente sviluppo del volume dei traffici si avrebbero benefici effetti nel settore della logistica, anche in termini occupazionali.

La situazione può essere corretta rapidamente se si dà effettiva attuazione allo sportello unico doganale (previsto dal Reg. CE n. 450/2008 e dalla legge 350/2003 e relativo DPCM n. 242 del 4/11/2010), attraverso una serie di misure di coordinamento degli uffici e di maggior efficienza delle risorse disponibili, quali:

  • organizzazione più flessibile dell’organico doganale, in modo da assicurare la piena operatività (H24), come peraltro già avviene in altri Stati membri dell’Unione europea;
  • allineamento degli orari di servizio di tutti gli organi che esercitano funzioni di controllo sulle merci, in particolare presso i punti di ingresso ed uscita delle merci dal/nel territorio italiano, accorpandoli tutti, ove possibile, in uno stesso luogo (creazione di centri polifunzionali di servizi);

La “questione” dello sportello unico (SU), considerato dal Piano della Logistica tra le azioni con maggiore priorità strategica, apre il dibattito su un ventaglio di temi che vanno al di là di quella che può essere interpretata come una semplice questione di “tecniche procedurali”.

In effetti la reale posta in gioco, se così possiamo chiamarla, è la ricerca e la definizione di nuovi assetti organizzativi del sistema portuale ed aeroportuale, con l’obiettivo di facilitare i flussi commerciali con l’estero, sull’esempio di quanto sta accadendo in particolare nei porti del Nord Europa ove si è ormai radicato il concetto di Port Community.

Se pensiamo alla situazione italiana, attori delle nostre politiche portuali in modo specifico devono puntare non solo sugli aumenti di capacità (banchine più ampie e fondali più profondi) per attrarre maggiori volumi di traffico, ma devono aver prima risolto i problemi della gestione delle informazioni e dello snellimento delle procedure.

Lo sportello unico permette agli operatori del commercio estero di completare il ciclo documentale richiesto per le operazioni in import/export, facendo pervenire le informazioni necessarie alle varie Amministrazioni dello Stato (es. Dogana, Sanità, Beni Culturali, Fitopatologo, Veterinario, ecc.) attraverso un’unica struttura, passando da un ambiente basato su sistemi, non dialoganti tra loro, ad uno in grado di connettere i vari sistemi gestiti dai singoli operatori privati e dalle Amministrazioni dello Stato.

Le Dogane, in virtù del loro ruolo preminente nel controllo dei flussi di merci oggetto di interscambio internazionale, occupano una posizione “privilegiata”: è per questo che, già oggi, spetta a questa amministrazione ricevere, raccogliere ed ordinare tutte le informazioni necessarie alla realizzazione delle formalità amministrative connesse ad un’operazione di commercio estero, per poi smistarle alle altre Amministrazioni competenti.

Queste funzioni vanno integrate nell’ambito del sistema telematico doganale “AIDA” (Automazione Integrata Dogane Accise), un sistema interattivo che già assicura il dialogo tra gli operatori privati e la Dogana, e che dovrebbe essere interconnesso ai sistemi informatici in uso da parte delle altre Amministrazioni.

“Al fine di semplificare ed accelerare le procedure preordinate all’assolvimento delle operazioni doganali di importazione ed esportazione delle merci, l’Agenzia delle Dogane consente la presentazione anticipata della dichiarazione doganale di cui all’articolo 4 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 novembre 2010, n. 242, in pendenza delle procedure di rilascio delle autorizzazioni e certificazioni richieste dalle altre Amministrazioni competenti. In tal caso, lo svincolo delle merci è subordinato al rilascio, da parte delle amministrazioni interessate, delle autorizzazioni e certificazioni necessarie ai fini del loro sdoganamento”.

All’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374, aggiungere i seguenti periodi:

Con determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane sono individuati gli uffici doganali in cui l’operatività di cui al precedente periodo è assicurata anche per l’espletamento dei controlli e delle formalità inerenti le merci che circolano in regimi diversi dal transito. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (o del Ministro dell’Economia e delle Finanze), su proposta del Direttore dell’Agenzia delle Dogane, è individuato il contingente di personale aggiuntivo occorrente, da reperire nell’ambito della Pubblica Amministrazione, senza maggiori oneri per lo Stato.

Al fine di massimizzare l’efficienza delle predette operazioni nelle aree portuali e in quelle facenti parte del sistema logistico come definito dall’art. 46 del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con Legge 22 dicembre 2011, n. 214, le Autorità Portuali, a valere su risorse proprie, possono esercitare poteri sostitutivi e stipulare convenzioni di scopo con tutte le amministrazioni interessate, anche prevedendo il ricorso a forme di flessibilità del lavoro e all’assunzione di personale, nonché contribuendo agli eventuali maggiori oneri per l’impiego di personale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, di cui al periodo precedente.”

Relazione illustrativa

I commi 1 e 2 della proposta di modifica hanno lo scopo di incentivare la collaborazione tra le Amministrazioni preposte alla definizione del procedimento doganale.

Il comma 1 consente un’attuazione anticipata dello Sportello Unico Doganale, senza attendere il termine ultimo previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 novembre 2010, n. 242, per rispondere alle richieste sempre più pressanti da parte degli operatori commerciali in materia di snellimento delle formalità amministrative legate all’effettuazione delle operazioni di interscambio internazionale. In sostanza, si attribuisce all’Agenzia delle dogane il potere di autorizzare una presentazione anticipata della dichiarazione doganale, in modo da evitare disagi gravi agli operatori per via delle soste e movimentazioni aggiuntive a cui sono soggetti i container nei porti, negli aeroporti e negli interporti, qualora le merci in essi contenuti debbano attendere il rilascio di tutte le autorizzazioni e certificazioni prescritti per il loro sdoganamento. Ipotesi quest’ultima che potrebbe indurre gli operatori nazionali a preferire altri Stati membri dell’UE per l’instradamento dei loro traffici commerciali. Da tempo infatti tali operatori lamentano tali ritardi dovuti all’eccessiva segmentazione di competenze fra più organi delle amministrazioni dello Stato.

L’anticipo dello sdoganamento delle merci all’atto di presentazione della dichiarazione doganale sarebbe possibile ogni volta che lo svincolo di tale merce è subordinato all’ottenimento di certificazioni, autorizzazioni, nulla osta ed altri permessi particolari, il cui rilascio compete ad organi di controllo diversi dalle dogane, e che non sono ancora nella disponibilità dell’operatore. Lo svincolo, in tal caso, sarebbe possibile a condizione che l’amministrazione doganale abbia la certezza che le pratiche per il rilascio di tale certificazione sono state utilmente espletate dall’operatore e che il loro rilascio è in corso.

Il comma 2 si propone di ottenere una maggiore rispondenza tra l’operatività del momento doganale e le esigenze dei moderni traffici commerciali, che necessitano di servizi doganali H24 sette giorni su sette. Nonostante la telematizzazione, per garantire sulle 24 ore la ricezione e il trattamento delle dichiarazioni in import e in export e degli altri documenti necessari per lo svincolo delle merci occorrerebbe rinforzare le principali dogane italiane (portuali, aeroportuali e dell’interno) razionalizzando la distribuzione sul territorio degli oltre 9.000 dipendenti delle dogane.

Questo processo incontra peraltro ostacoli di tipo normativo e sindacale, di non facile superamento, per cui, viste anche le carenze infrastrutturali e le disfunzioni burocratiche del sistema logistico italiano, si stanno progressivamente determinando distorsioni di traffico verso dogane di paesi europei più efficienti. Solo in termini di diritti doganali, al netto delle risorse proprie dell’UE, e senza contare l’indotto trasportistico e delle lavorazioni logistiche, questo dirottamento provoca un danno diretto e immediato per l’Erario stimabile intorno a 1 miliardo di euro l’anno.

Inoltre, per assicurare maggiore tempestività ed efficacia agli obiettivi di tale norma nelle strutture portuali e in quelle facenti parte dei sistemi logistici individuati ai sensi dell’art. 46 del decreto legge 20/2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), in quanto maggiormente interessate dai traffici merci internazionali, è prevista la facoltà, per le Autorità Portuali, di ricorrere, con risorse proprie ed ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, a forme di flessibilità del lavoro e all’assunzione di personale, anche attraverso il contributo agli eventuali maggiori oneri per l’impiego di personale proveniente da altre amministrazioni pubbliche.

La norma che si propone non comporta maggiori oneri per il bilancio dello Stato per l’eventuale personale aggiuntivo (stimato in 300-400 unità), che sarebbe reperito nell’ambito della Pubblica Amministrazione, ove sono in programma -come è noto- ben più rilevanti riduzioni di organico in diversi settori, come, ad esempio, l’Amministrazione Militare. Il relativo contingente sarebbe individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o del Ministro dell’Economia e delle Finanze (la scelta viene rimessa all’Ufficio Legislativo), su proposta del Direttore dell’Agenzia delle Dogane.

Altrettanto dicasi per la facoltà attribuita alle Autorità portuali in materia di utilizzazione del personale, che potrà essere esercitata solo con risorse proprie delle Autorità stesse.

Ci vuole più integrazione Doganale Europea anche attraverso una integrazione dei sistemi informatici con una banca dati unica. Un’unica regia Europea in cui tutte le normative dettate dai Regolamenti Comunitari fossero applicate uniformemente da tutti gli Uffici Doganali del territorio Europeo.

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi avanti per la sicurezza dei trasporti delle merci e per l’affidabilità delle imprese che importano ed esportano.

Dal 1° gennaio 2008 nei 27 Stati membri dell’U.E. sono entrate in vigore le novità introdotte nel Codice Doganale e sue Disposizioni di applicazione con i Regolamenti (CE) n° 648/2005 e n° 1875/2006 in merito al rilascio agli operatori economici che ne fanno richiesta di un certificato AEO/Semplificazioni doganali, o AEO/Sicurezza, o AEO/Semplificazioni doganali e Sicurezza, tutti con valenza comunitaria.

L’acquisizione di uno status di affidabilità e di sicurezza con validità illimitata e comunitaria comporta:

  • Riduzione dei controlli;
  • Semplificazioni doganali;
  • Facilitazioni nel settore della sicurezza;
  • Migliori relazioni con le autorità doganali;
  • Maggiore velocità nelle operazioni doganali;
  • Mutuo riconoscimento con altri programmi di affidabilità e sicurezza di Paesi terzi (certificati AEOS e AEOF).

Il programma di certificazione comunitaria si applica agli operatori economici ed ai loro partner commerciali che intervengono nella catena di approvvigionamento internazionale, ossia ai produttori, agli esportatori, agli speditori/imprese di spedizione, ai depositari, agli agenti doganali, ai vettori, agli importatori che, nel corso delle loro attività commerciali, prendono parte ad attività disciplinate dalla regolamentazione doganale e si qualificano positivamente rispetto agli altri operatori, in quanto ritenuti affidabili e sicuri nella catena di approvvigionamento.

L’istanza deve essere presentata presso l’Ufficio delle Dogane competente per il luogo in cui l’operatore detiene la contabilità principale relativa alle operazioni svolte ed in cui è effettuata almeno parte delle operazioni oggetto del certificato AEO.

I requisiti richiesti per ottenere lo status di AEO sono calibrati per tutti i tipi di imprese (anche piccole e medie), indipendentemente dalla loro dimensione, così come peculiari criteri sono previsti per le altre figure interessate, ad es.: per gli intermediari ed i rappresentanti in dogana. Tali caratteristiche variano e dipendono dalle dimensioni e dalla complessità delle attività svolte, dal tipo di merci trattate nonché da altri fattori specifici di cui terrà conto l’Autorità doganale.

Da ultimo, un brevissimo accenno su un non secondario aspetto che riguarda la necessità di valorizzare maggiormente il patrimonio culturale e professionale di coloro che fanno impresa in Italia, patrimonio oggi fortemente discriminato. Io spesso uso chiedere ad esempio alla comunità dei romeni in Italia, presenti in oltre 1 milione di individui censiti, “ma voi quante badanti avevate in Romania?” Possibile che persone laureate, portartici di diversità e quindi di accrescimenti culturali e professionali nel nostro Paese possano fare solo le badanti! Quindi ricercare spasmodicamente quella parità di diritti che in Italia è fortemente osteggiata e spesso discriminata.

Non entro nel dettaglio, anche se apposito convegno dovrebbe essere indetto su tale tema, ma andrebbe anche sancita, ribadita e riaffermata l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini italiani e non, come troppo spesso avviene contravvenendo il disposto dall’Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica… quella appunto fondata sul lavoro… rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Ma questo, se gli organizzatori vorranno, è un ottimo tema per un futuro incontro.

Grazie