Summa lex summa iniuria: perché la Giustizia italiana non deve funzionare

Cav. Franco Antonio Pinardi

Io sono, prima di tutto, un Cittadino italiano, di quelli che non hanno ancora rinunciato a credere nel “Rechtsstaat” espressione tedesca da cui fu tratta la più nota definizione che indica lo Stato di diritto, quello Stato di diritto che per sua definizione presuppone che l’agire dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti: dunque lo Stato sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene tramite una Costituzione scritta. Purtroppo però, quanto sin qui riportato non è più attuale, non fa più parte del nostro vivere quotidiano in un Paese i cui politici, veri “minimus”, hanno sovvertito le regole del vivere civile a mero beneficio dei loro interessi. Accade così che ciò che è lecito e dovuto, venga umiliato da leggi e decreti che, oltre ad essere a volte anche dichiaratamente incostituzionali, sovvertono le regole che hanno fatto grande nel passato il nostro Paese, con più accomandanti e compiacenti normative che privilegiano gli interessi delle lobbie o, ancor peggio, il dovere di cassa di una burocrazia statale dall’insaziabile appetito. Quale segretario generale della Confederazione Unitaria Giudici Tributari in carica sin dal 1996, quale segretario generale della Confederazione Giudici di Pace sin dal 2002, e di altri importanti sodalizi che rappresentano gli organi dello Stato e del Parastato, ho avuto modo, non essendo direttamente coinvolto per carriera o per stipendio, di assistere, arbitro imparziale quindi, con deprimente sempre rinnovato attonito stupore, all’incapacità, all’opportunissimo, ma anche spesso alla totale ignoranza di coloro a cui abbiamo, mediante le elezioni, conferito il compito di amministrare il nostro Paese. Persone che, nella migliore delle ipotesi, nulla conoscono degli argomenti su cui sono chiamati a decidere e a legiferare in nome del Popolo Italiano. Politici che, oltre a perseguire come sempre più spesso dichiarato dalle indagini per corruzione o di peculato quotidianamente poste alla pubblica ribalta, vivono la loro esperienza parlamentare nel totale disinteresse rispetto a ciò che invece realmente accade nella vita quotidiana dei Cittadini italiani. Ed ecco quindi che, nonostante ben 15 elementi di incostituzionalità, per favorire la relativa lobbie, e per ribadire il dovere di cassa della voragine statale, si ripesca, nonostante appunto il giudizio di incostituzionalità, la famigerata mediazione o media conciliazione, giustificandola con il ritardo e l’accumulo delle vertenze processuali. Per evitare che i contribuenti ricorrano alla prevista giustizia tributaria onde far valere il sacrosanto diritto di difesa avverso gli errori del fisco, ci si inventa la mediazione tributaria, affidandone il ruolo all’Agenzia delle Entrate che, guarda caso, è colei che originariamente ha generato il motivo della lite. Il tutto in nome del voler rendere deflattivo il contenzioso, civile, penale e tributario. Ma vi sono mezzi ancor più subdoli, sleali ed ambigui per scoraggiare il cittadino nel rivolgersi alla Giustizia, sistemi che strisciano nelle pieghe dei provvedimenti, dei vari decreti e delle leggi di stabilità, vere e proprie gabelle che, gravando sulle ormai già prosciugate tasche del contribuente, hanno il famigerato scopo ed obiettivo di dissuadere il popolo dal rivolgersi ai competenti ambiti giudiziari per la rivendicazione tutela dei propri, sacrosanti diritti. E’ il caso delle norme contenute nelle pieghe della Legge 147 del 2013, meglio conosciuta come legge di stabilità per il 2014, in cui il legislatore mentre aumenta di ben oltre tre volte la marca da bollo necessaria per l’iscrizione a ruolo della causa, aumentandola dagli 8 euro ai 27 euro attuali, diminuisce “manu militari” di ben un terzo i compensi del difensore, dell’ausiliario del magistrato, del consulente tecnico di parte, e dell’investigatore privato autorizzato, e tutto in nome di un dovere di cassa dedicato ad una quanto mai fantasiosa assunzione di 300 nuovi magistrati. A questo si aggiunga l’esosità ben conosciuta del contributo unificato, altro bieco obolo che debbono pagare coloro che vogliono Giustizia. Ma facciamo un esempio. Nel caso di una multa per divieto di sosta magari elevata, come successo allo scrivente, con metodi e mezzi non previsti dal codice della strada, quindi contrari alla legge, l’importo dovuto sarebbe di 38 euro. Per fare il ricorso avverso tale sanzione io dovrei spendere 27 euro come su indicato dalla vigente normativa per la marca da bollo, più 37 euro per il contributo unificato, per un totale di euro 64, quasi il doppio della sanzione originale elevata, a cui va aggiunto, per la farraginosità nel nostro sistema giudiziario, anche il compenso dell’avvocato. Mi chiedo quindi con quale positiva economicità un cittadino pagherebbe 64 euro + avvocato per non doverne pagare 38! Non è forse questo un modo indegno per scoraggiare ed allontanare i Cittadini dal sacrosanto diritto alla Giustizia, una giustizia che invece di essere portatrice di inalienabili e certi principi e valori costituzionali, vive ormai, per dichiarata volontà politica, in una logica di cenerentola delle cenerentole, privata di mezzi e uomini, ambito controverso per le economie e il carrierismo di pochi. Se veramente si vogliono risolvere i problemi della Giustizia nel rispetto dell’inalienabile “diritto al diritto”, si amplino gli organici e si retribuiscano in maniera decorosa, si garantisca a tutti, anche in virtù della sproporzionata tassazione a cui sono sottoposti gli abitanti del paese Italia, il diritto alla legalità, alla salute, alla istruzione senza l’incombente pena di inutili e vessatorie prebende monetarie che finiscono poi, come ormai tutti ben sappiamo, nelle solite, incolmabili tasche.