Eccessiva imposizione fiscale sulle imprese
Carlo Edoardo Valli
Presidente dell’Associazione Industriali di Monza e Brianza
Si è in passato definito che capitale e lavoro erano i fattori economici che contraddistinguevano l’attività d’impresa.
Al giorno d’oggi sarebbe più corretto dire che: capitale, prodotto, attività lavorativa e fisco sono gli elementi qualificanti per determinare sviluppo o declino delle attività economiche.
La rapidità con la quale aziende o nazioni possono passare dalla prosperità alla crisi, a differenza del passato quando i cicli economici si misuravano a decenni, ci impone di capire quale forza dirompente può avere un’azione fiscale che tolga all’imprenditore il gusto del rischio o gli sottragga i mezzi destinati all’investimento e quindi allo sviluppo, alla ricerca, alla creazione di nuove opportunità di lavoro.
Giova ricordare che se 50 anni fa il mercato delle imprese Brianzole era nell’ambito regionale, si è poi via via allargato a quello nazionale.
Negli ultimi 20 anni si è aperto all’Europa ed oggi al mondo intero.
Di fronte ad un mercato globale, quale quello che oggi si presenta, è indispensabile capire con quale handicap noi partiamo a giocarci il futuro e quali condizionamenti possiamo subire da situazioni di turbolenza o di crisi in mercati solo geograficamente lontani come sta avvenendo proprio in queste ultime settimane.
Un tempo si diceva che l’Italia partiva penalizzata dalla mancanza di materie prime, ma oggi le materie prime hanno costi uniformi nei vari paesi.
Elementi determinanti sono quindi il costo del lavoro, gli oneri che gravano sulle imprese e come funziona il sistema del paese.
La materia fiscale, nel corso degli anni, ha assunto in Italia un peso ed una dimensione tale da scoraggiare, anche nei più volenterosi, l’approfondimento di così ampia e spesso contraddittoria materia, costringendo le imprese a circondarsi di consulenti fiscali i cui pareri appaiono spesso contrastanti nell’interpretazione delle leggi e dei loro, non sempre chiari, regolamenti applicativi creando molto spesso pesanti situazioni di contenzioso tra impresa e uffici tributari.
Anno dopo anno le necessità di bilancio hanno spinto il legislatore a sforzi di fantasia per reperire nuove fonti di prelievo, senza tener conto che, nelle attività commerciali ed industriali, le leggi del mercato sono quelle che presiedono a quel delicato gioco di equilibri tra costi e ricavi che crea reddito e quindi imponibile.
Il sistema tributario italiano è tale da dover, in un certo senso, essere considerato inapplicabile.
Se venisse applicato in modo rigoroso comporterebbe l’impossibilità di sopravvivenza di larghi settori della nostra vita economica. L’eccessiva elevatezza delle aliquote neutralizza l’interesse del contribuente al conseguimento di maggiori redditi frenando, se mai ci fosse, la volontà di sviluppo.
I principali Paesi industrializzati – competitors diretti delle nostre imprese sui mercati del mondo – possono contare su un sistema fiscale più equo, più razionale e soprattutto più amichevole del nostro.
In questi Paesi si è saputo instaurare un clima di fiducia reciproca tra uffici delle imposte e contribuente. Le legislazioni nazionali sono imperniate a razionalità, equità e chiarezza..
Darei molta importanza a questo punto che rappresenta, in modo evidente, il passaggio da uno Stato che considera i cittadini e le imprese come “sudditi” a chi li considera invece come “attori economici” ai quali è dovuta fiducia, rispetto e considerazione.
Provvedimenti recenti
A partire dagli anni Novanta, la legislazione fiscale italiana ha accentuato le sue caratteristiche di irrazionalità, allontanandosi ulteriormente dai principi di chiarezza cui deve uniformarsi uno Stato moderno.
La recente introduzione dell’IRAP, pur generando un minor gettito di circa 4000 miliardi, sembra, contrariamente a quanto affermato da Visco, aver penalizzato la Piccola Media Industria che, per sua natura strutturale, ricorre al finanziamento bancario.
L’impresa indebitata, anche se sostanzialmente sana e tesa al proprio sviluppo, si trova ad avere una base imponibile IRAP maggiore e non riesce a fruire delle agevolazioni della Dual INCOME TAX.
Un’altra fonte di pressione fiscale impropria è costituita dall’anticipo delle imposte sul TFR pagate nel 97 e 98.
I provvedimenti fiscali che si sono succeduti in questi ultimi anni sono stati, per la maggior parte, incentrati e improvvisati solo ed esclusivamente al recupero delle risorse, senza mai porre mano ad una vera politica fiscale di medio periodo.
Vorrei anche ricordare che le imprese pagano percentuali riferite ad una voce che definirei “UTILE VIRTUALE” che nulla ha a che vedere con l’utile effettivo. Siamo uno dei pochissimi paesi al mondo che riprendendo fiscalmente delle spese (ad esempio auto aziendali, spese di rappresentanza), ha inventato la tassazione sui costi.
La legislazione fiscale non dovrebbe vivere di spunti o di improvvisazioni ma di un serio programma tributario studiato in anticipo con la dovuta competenza e serietà, che non si esaurisca con la caduta di un governo e che possa durare nel tempo senza continui cambiamenti consentendo alle Aziende di fare piani a lunga scadenza e non costringendole a vivere alla giornata.
Si ha l’impressione invece che l’obiettivo degli uomini politici, da qualsiasi schieramento provengano, sia l’accaparramento del voto e la continua ricerca di quelle sacche in cui operare il drenaggio delle risorse disponibili.
Lo Stato non può reperire risorse se non ha attività produttive dalle quali trarle attraverso il fisco.
Le attività produttive danno lavoro ai dipendenti che non solo pagano le imposte ma sono anche consumatori. Il consumo genera reddito per le aziende, anch’esso soggetto a imposizione fiscale.
Questo circolo virtuoso non deve essere vanificato da un fisco vessatorio ma deve piuttosto essere accompagnato nel suo sviluppo da un fisco equo e lungimirante.
E’ poi evidente come la leva fiscale possa essere elemento di vero sviluppo, basti ricordare in proposito l’effetto benefico sugli investimenti innescato dalla Tremonti.
Il sottrarre risorse alle imprese in modo così pesante è fattore negativo per una spinta all’occupazione della quale, a parole, tutti si fanno paladini.
La tassazione non è leggera in nessun Paese con il quale ci stiamo confrontando ma a nostro svantaggio gioca sicuramente una legislazione farraginosa e contraddittoria, una burocrazia al di fuori della realtà, una serie di vincoli e regolamenti che ignorano il progredire del tempo e una mentalità generalizzata che fa dell’impresa non l’elemento propulsore del benessere ma solo una fonte di facile drenaggio delle risorse.
L’augurio che possiamo farci è che, entrando in Europa, migliori quella che definirei una “cultura d’impresa” e che, quello che non siamo riusciti a fare da soli ci venga imposto dai nostri partners.
Allora, finalmente, saremo a competere senza ingiuste penalizzazioni.
Carlo Edoardo Valli