GARANTE DEL CONTRIBUENTE
PER LA PUGLIA
Bari, 3 aprile 2012
– Al Presidente del Senato della Repubblica
ROMA
– Al Presidente della Camera dei Deputati
ROMA
– Al Presidente del Consiglio dei Ministri
ROMA
Prot. n. 335/12
RELAZIONE ANNUALE – Anno 2011 (ai sensi dell’art. 94, comma 8, della legge n. 289/2002 che integra con l’art. 13-bis la legge n. 212/2000)
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1- Lo stato dei rapporti tra Fisco e contribuenti si va sempre più deteriorando sotto diversi profili, il che è foriero di maggior danno per entrambi.
Mi permetto di affermare ciò non tanto in base alla breve esperienza temporale di Garante del contribuente per la Regione Puglia, ma soprattutto per la mia lunga ed incisiva esperienza di quarant’anni di Presidente di Commissione Tributaria (dieci anni da ultimo come Presidente della C.T.R. della Puglia).
2- Un primo profilo riguarda la formulazione delle norme.
Si dice normalmente che la legge ha come destinatario il cittadino (nella specie il contribuente), ma si dimentica che è necessario che essa sia chiara ed intellegibile nella forma e nella sostanza.
Si assiste purtroppo da alcuni anni ad una prassi nella tecnica normativa che è fortemente censurabile.
Per soddisfare certe esigenze di una rapida approvazione di una legge con il voto di fiducia, si è escogitato il sistema di comporre la stessa di un solo articolo e 1364 commi (vedasi Legge Finanziaria 2007 n. 296), con grave disagio nella chiarezza e nella comprensione.
Successivamente, come nelle recenti manovre del Governo Monti, per modificare una parola o togliere o aggiungere una congiunzione, si è ricorso anche ad artificiose moltiplicazioni di commi e sottocommi con numerazioni latine (36-undevicies, 36-vicies bis, ecc…, Legge n. 148/2011 – Legge Sviluppo).
Peraltro, lo Statuto del Contribuente (L. n. 212/2000) ha espressamente previsto (art. 2, co. 4) che le disposizioni modificative di leggi tributarie, debbono essere introdotte riportando il testo conseguentemente modificato e tale norma è stata dimenticata.
E se il legislatore ha imposto il principio della chiarezza e della trasparenza delle norme tributarie, lo ha fatto a ragione veduta anche perché, una certa parte del contenzioso tributario deriva da equivocità delle norme o da difficoltà interpretative.
La legge 212/2000 che la giurisprudenza di legittimità ha definito una legge costituzionale nella sostanza anche se è una legge ordinaria, è diventata una specie di “formaggio svizzero” con i buchi perché, fin dalla sua approvazione, ogni Parlamento vi ha apportato delle modifiche (da ultimo è stato anche abbattuto pure il principio di irretroattività delle norme tributarie sancito dall’art. 3).
Consegue che un contribuente onesto ed in buona fede, che volesse iniziare un approccio per la comprensione delle norme, avvertirebbe uno stato di gran disagio e preoccupazione, se non di reazione, che si placa solo in parte con il ricorso al tecnico, il quale peraltro trova innanzitutto grave difficoltà nell’assemblare i frammenti di una norma disseminati in diverse leggi e poi imbarazzo per comprendere l’esatta portata della norma così ricostruita.
3- Un altro aspetto del menzionato rapporto che manifesta sempre più un forte deterioramento, è la mancata sensibilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze verso gli strumenti di tutela del diritto di difesa del contribuente.
In effetti, già nei decreti delegati della riforma tributaria del 1972, furono previsti (e giustamente) alcuni mezzi di tutela del FISCO nella fase di riscossione delle imposte.
Si pensi per esempio, tra questi, al fermo amministrativo dei veicoli e dei natanti, previsto dall’art. 86 D.P.R. n. 602/73.
Ebbene, pur essendo un istituto fortemente invasivo nel patrimonio del contribuente debitore, nessuna norma prevedeva un qualsiasi mezzo di difesa per il contribuente.
Incominciò allora una “bagarre” all’italiana con una moltiplicazione del contenzioso, prima davanti ai TAR con giudizi contrastanti e poi anche davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria, per stabilire quale Giudice avesse giurisdizione per un’impugnazione dell’atto.
E solo quando il conflitto si articolò anche al più alto livello giurisdizionale, il Governo si rese conto che occorreva un chiaro intervento normativo, per evitare che il cittadino contribuente vagasse da una giurisdizione all’altra, come un moderno DIOGENE in cerca di un GIUDICE e sprecando tempo e denaro (vedasi D.L. 4.07.2006 n. 223 – c.d. decreto Bersani – conv. nella L. n. 248 del 4.08.2006).
Allora viene da chiedersi: come mai si arriva a questo punto?
Perché quando si formulano le norme tributarie sostanziali queste non vengono riviste anche da un processualista del settore di alto profilo, che valuti l’impatto di esse nel sistema delle garanzie e proponga eventuali modifiche?
A chi compete censurare questa condotta omissiva del Governo se non al Parlamento?
4- Analoghe problematiche anche gravi sussistono nel settore della riscossione delle imposte.
È noto che, a norma dell’art. 17 del D.Leg.vo 25.02.1999 n. 46, “Si effettua mediante ruolo la riscossione coattiva delle entrate dello Stato anche diverse dalle imposte sui redditi e di quelle degli altri enti pubblici anche previdenziali esclusi quelli economici”.
In virtù di tale norma, vengono riportati in un’unica cartella tutti i debiti risultanti a carico di un determinato contribuente (che ha il domicilio fiscale nell’ambito di competenza del concessionario) a cominciare dall’irpef, l’irap, per finire alle controversie stradali, ai Tributi comunali, alle spese processuali civili e penali, ai contributi previdenziali ed assicurativi, ecc…
Al cospetto di un tale atto incomincia per il contribuente una vera “via crucis”.
Innanzitutto, deve identificare il Giudice che abbia la giurisdizione in relazione ad ogni titolo di credito (Giudice Tributario, Giudice ordinario e nell’ambito di questo, il Giudice del Lavoro, il Giudice della Esecuzione, il Giudice di Pace) e poi instaurare tanti separati giudizi quanti sono le diverse giurisdizioni da adire e senza possibilità di unificarli davanti ad un solo Giudice.
E se poi si aggiunge che un commercialista non è legittimato ad agire davanti all’Autorità Giudiziaria ordinaria, deriva che il contribuente deve farsi assistere anche da un avvocato.
In conclusione, il diritto di difesa del contribuente diventa solo un dato formale ed è invece difficile, se non impossibile, esercitarlo, nonostante l’insegnamento della Corte Costituzionale che ha considerato lesione del diritto di difesa le gravi difficoltà obiettive o amministrative da superare per esercitarlo.
A rendere più gravoso il compito del contribuente, sta il fatto (sovente ricorrente) che il concessionario del Servizio di Riscossione dovrebbe indicare nella cartella, in ossequio all’obbligo imposto dall’art. 7, Legge n. 212/2000, il termine, le modalità, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa a cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. Tale indicazione esiste, ma è sempre deficitaria perché non vengono specificate tutte le autorità giurisdizionali competenti in relazione a ciascun titolo di credito, ma si fa riferimento alla sola Commissione Tributaria competente.
Tutto ciò induce anche in errore il contribuente, il quale instaura un solo ed unico giudizio davanti al Giudice Tributario, con conseguenze negative sul piano processuale.
Ed un contribuente che per la tutela dei propri diritti deve affrontare un tale calvario, quale tipo di assenso o di collaborazione all’Amministrazione Finanziaria si pensa possa dare?
5- Se Equitalia ha un bacino di utenza ultraprovinciale, può verificarsi un’ulteriore anomalia processuale che danneggia sempre il contribuente.
In effetti, il Ministero dell’Economia ha da poco tempo ristrutturato il Gruppo di Equitalia S.p.A. in tre grandi società dislocate: una al Nord, con sede a Milano; una al Centro, con sede a Firenze ed una al Sud, con sede a Roma.
Con questa riforma, il contenzioso tributario nei confronti di Equitalia sarà concentrato nelle predette tre sedi a norma dell’art. 4 D.Leg.vo 31.12.1992 n. 546, il quale prevede che le Commissioni Tributarie sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli Enti impositori e dei Concessionari del servizio di riscossione che hanno la sede nella loro circoscrizione.
È vero che in ogni Provincia Equitalia ha istituito una delegazione o un ufficio, ma questi non possono qualificarsi come sede.
In termini più semplici ma spietati, un contribuente residente a Reggio Calabria per instaurare un giudizio per un tributo di qualche centinaio di euro, deve farlo davanti alla C.T.P. di Roma (sempre che si tratti di atto di riscossione affetto da vizi propri), il che significa che deve affrontare un costo rilevantissimo.
Quale sarà la reazione del contribuente? Non certo di rispetto o di benevolenza di fronte al FISCO, ma di reazione e di rabbia.
Va poi rilevato che, ove in tale contesto il contribuente intenda contestare anche la pretesa nel merito deve fare un altro ricorso davanti alla C.T.P. nella cui circoscrizione si trova la sede dell’Ufficio impositore.
Si hanno così due ricorsi davanti a due Giudici diversi che nessuna norma consente di unificare.
Si impone pertanto un urgente intervento legislativo che, modificando il citato art. 4 del D.Leg.vo 546/92, stabilisca che tutti i ricorsi davanti al Giudice Tributario debbono essere presentati alla C.T.P. nella cui circoscrizione si trova la sede dell’Ufficio impositore e che la competenza territoriale suddetta resta inderogabile per tale Ufficio ed abbia forza attrattiva anche per le questioni che cumulativamente o separatamente concernano Equitalia.
6- Le situazioni di disagio per il contribuente sono ancora numerose ed in continuo aumento.
Attualmente l’identificazione del Giudice competente a trattare le controversie tra sostituito e sostituto d’imposta è un mistero, non solo perché le SS.UU. della Cassazione hanno in passato ondeggiato con varie sentenze tra il giudice Ordinario e quello Tributario, quanto perché, da ultimo, tale contrasto si è espresso macroscopicamente tra la Sentenza della Cassazione a SS.UU. n. 15031 del 26.06.2009 e quella a SS.UU. n. 15047 dello stesso giorno.
Orbene, nessuno intende imporre alla Corte di Cassazione di decidere in un certo modo, però incombe al legislatore di intervenire emettendo delle norme specifiche idonee a risolvere i suddetti contrasti giurisprudenziali (come ha fatto per il caso del fermo) e così evitare che il contribuente si inasprisca maggiormente e ritenga tali situazioni espressioni di “Malagiustizia tributaria”.
7- Conclusivamente: È auspicabile che il Parlamento ponga un freno a questo degrado dei rapporti tra fisco e contribuente, anche perché si sta prospettando una vera rivoluzione nell’attuale sistema del contenzioso tributario. In effetti, secondo fonti ministeriali, è in preparazione una riforma del processo tributario con l’eliminazione del primo grado di giudizio.
Ora, se è vero che la Carta Costituzionale non prevede espressamente per la Giustizia Tributaria un doppio grado della giurisdizione di merito, è altrettanto vero, come ha affermato l’Associazione Nazionale Magistrati Tributari, che, “nel nostro sistema processuale generale non esiste processo con un unico grado di merito e tanto meno è giustificabile che il contribuente abbia una tutela giuridica inferiore a quella di chi promuova un giudizio per il danno ad un parafango”.
Il Garante del Contribuente
per la Regione Puglia
Dott. Salvatore Paracampo
(Presidente On. Aggiunto della Corte di Cassazione)